(Reuters Health) – L’inversione dell’accumulo di liquido che si verifica nell’orecchio a seguito di un forte scoppio, tramite osmosi, aiuterebbe a limitare la perdita dell’udito. A dimostrarlo, su Proceedings of the National Academy of Sciences, è stato un gruppo di scienziati coordinato da John Oghalai, della Stanford University, in California, che ha condotto esperimenti su animali da laboratorio.
Lo studio
I ricercatori americani hanno esposto gli animali a un’onda esplosiva simile a quella di una bomba. In seguito allo scoppio, le cellule ciliate, le cellule sensoriali dell’orecchio che rilevano il suono e lo convertono in segnali neurali, muoiono immediatamente. Inoltre, si sarebbe verificato un accumulo di liquido, noto come liquido endolinfatico, che porta alla morte dei neuroni uditivi. “La perdita dei neuroni sembra essere la prima cosa che accade negli uomini quando invecchiano e anche dopo l’esposizione al rumore”, ha spiegato Oghalai. Un fenomeno noto come “perdita dell’udito nascosta, perché i normali test dell’udito non lo rilevano”, ha sottolineato. Ma la perdita neurale sarebbe responsabile di due comuni problemi, ovvero “la difficoltà di capire una conversazione in presenza di rumore di sottofondo, come nel caso di un ristorante affollato, e l’acufene”, ha evidenziato l’esperto. “Abbiamo fatto una serie di esperimenti per capire perché accade questo e ci siamo resi conto che potevamo estrarre il fluido in eccesso per osmosi”, ha spiegato Oghalai. Riducendo così l’endolinfa “vengono conservati anche i neuroni uditivi”, che potrebbero altrimenti andare persi a seguito dell’esplosione, ha sottolineato l’esperto. “Il trattamento osmotico potrebbe essere usato anche negli essere umani esposti a forti rumori, come l’esplosione di un petardo o una sirena o un concerto ad alto volume, in un intervallo di tempo di 12-24 ore dall’evento”, ha evidenziato Oghalai. Anche se, ovviamente, “è necessario un maggior numero di studi prima di poter riprodurre questi risultati sull’uomo”, ha concluso il ricercatore. L’applicazione clinica di questo metodo, dunque, è ancora lontana, come sottolineato anche da Thomas Roland, della NYU Langone Health di New York, che si è detto scettico su come i ricercatori pensano di operare “senza danneggiare il timpano e provocare una maggiore perdita uditiva”, ha sottolineato.
Fonte: PNAS
di Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)