(Reuters Health) – Nel trattamento della neoplasia localizzata, i benefici a lungo-termine dell’intervento chirurgico non sarebbero così evidenti. Pur avendo la probabilità di vivere un po’ più a lungo, infatti, chi si sottopone a intervento chirurgico per tumore della prostata localizzato sarà costretto a convivere con gli effetti collaterali dell’operazione, come incontinenza urinaria e disfunzione erettile. È per questo che, secondo uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e coordinato da Timothy Wilt del Minneapolis VA Center for Chronic Diseases Outcome Research, l’intervento chirurgico non sarebbe la scelta migliore per questa tipologia di pazienti.
Lo studio
I dati sono stati raccolti nell’ambito dello studio PIVOT, disegnato per far luce su quale sia il metodo migliore per trattare il cancro della prostata, un tumore diagnosticato su 161mila uomini americani ogni anno, ma che cresce molto lentamente, tanto da non risultare poi la prima causa di morte tra chi ne soffre. Nello studio sono stati presi in considerazione 731 uomini seguiti per un periodo medio di 12,7 anni. Nel gruppo di chi si sottoponeva a intervento chirurgico, il 61,4% sarebbe morto per cause diverse dal tumore, mentre solo il 7,4% sarebbe morto a causa del tumore. Nel gruppo tenuto sotto osservazione, invece, il 66,8% sarebbe morto per altre cause e l’11,4% sarebbe morto per il tumore. Secondo quanto riferito dagli autori, solo quattro uomini in meno, ogni 100 diagnosticati con tumore della prostata, muoiono a causa della malattia tra chi si sottopone a intervento chirurgico rispetto a chi si tiene sotto osservazione. Al contrario, ogni 100 uomini a basso rischio che si sottopongono a intervento chirurgico tra 30 e 40 avranno problemi di disfunzione erettile entro cinque anni dall’operazione, 30 svilupperanno problemi urinari entro 10 anni, mentre 20-40 riferiranno disfunzioni sessuali. Secondo gli autori, dunque, solo gli uomini a rischio intermedio beneficerebbero dell’intervento chirurgico, avendo mostrato una sopravvivenza superiore del 14,5%, con una riduzione del 20% della mortalità per tutte le cause.
I commenti
Dal momento, poi, che oggi questo tipo di tumore viene generalmente diagnosticato prima, ha dimensioni ridotte rispetto a 20 anni fa, e dunque i benefici dell’intervento sarebbero ancora di più da mettere in discussione, ha commentato Wilt. “I risultati di questo studio rassicurano gli uomini con un tumore della prostata a basso rischio che la sorveglianza attiva è sicura e offre una migliore qualità di vita rispetto alla resezione”, ha dichiarato Behaf Ehdaie del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York. E secondo l’esperto l’intervento potrebbe essere risparmiato anche ad alcuni soggetti a rischio intermedio. Mentre secondo Alexander Kutikov, capo dell’urologia al Fox Chase Cancer Center di Philadelphia lo studio avrebbe incluso un campione troppo ristretto per essere significativo e cambiare la pratica clinica.
Fonte: New England Journal of Medicine
di Gene Emery
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)