L’immunoterapia in fase adiuvante – ovvero somministrata dopo la chirurgia – ha ridotto il rischio di morte del 38% migliorando in modo significativo la sopravvivenza. Lo dimostrano i risultati dello studio di Fase III KEYNOTE-564 in cui pembrolizumab, terapia anti-PD-1, è stato utilizzato come terapia adiuvante nei pazienti con carcinoma a cellule renali (RCC) a rischio intermedio-alto o alto di recidiva a seguito di nefrectomia, o dopo nefrectomia e resezione delle lesioni metastatiche.
Questi dati late-breaking sono stati presentati per la prima volta in una sessione orale nel corso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) Genitourinary (GU) Cancers Symposium 2024 che si è svolto recentemente, e inclusi nel programma media ufficiale di ASCO GU.
Alla terza analisi ad interim predefinita (follow-up mediano di 57,2 mesi [intervallo, 47,9−74,5 mesi]), pembrolizumab come terapia adiuvante ha migliorato significativamente la sopravvivenza globale (OS) del 38% (HR=0,62 [95% CI, 0,44−0,87]; p=0,002) rispetto a placebo. A 48 mesi, il tasso stimato di OS è risultato del 91,2% nei pazienti trattati con pembrolizumab rispetto all’86% nei pazienti trattati con placebo. Il beneficio di sopravvivenza globale nei pazienti trattati con pembrolizumab è stato osservato nei principali sottogruppi. La sopravvivenza globale era l’endpoint secondario principale dello studio.
“In Italia, nel 2023, sono state stimate circa 12.700 nuove diagnosi di tumore renale di cui l’85% con malattia localizzata. Tra questi, circa la metà può essere considerata a rischio intermedio-alto di sviluppare metastasi entro pochi anni dalla diagnosi, portando a un netto peggioramento dell’aspettativa di vita nonostante i recenti passi avanti fatti nel trattamento delle forme avanzate – afferma Roberto Iacovelli, Oncologia Medica, Comprehensive Cancer Center, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma e Professore Associato di Oncologia Medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore – Questi pazienti sono gli stessi ad essere stati arruolati nello studio KEYNOTE-564, il primo e unico studio clinico nella storia del trattamento del carcinoma renale ad aver dimostrato come l’immunoterapia dopo la nefrectomia riduca il rischio di sviluppare metastasi prolungando così la sopravvivenza. Tutto ciò si traduce concretamente nella possibilità di guarire i pazienti, assicurandogli una vita libera dal tumore. Lo studio KEYNOTE-564 rappresenta quindi una pietra miliare nell’oncologia, essendo il primo studio ad aver dimostrato come l’immunoterapia con pembrolizumab possa non solo curare ma anche aiutare a guarire dal tumore renale”.
“I risultati positivi di sopravvivenza globale del KEYNOTE-564 giungono a conferma dei dati di sopravvivenza libera da progressione, che hanno supportato l’approvazione di pembrolizumab per questa indicazione in tutto il mondo”, osserva Marjorie Green, Vicepresidente senior e Direttore di oncologia, sviluppo clinico globale, Merck Research Laboratories. “È il secondo studio di pembrolizumab che dimostra un beneficio significativo di sopravvivenza globale in uno stadio precoce di malattia, e questi nuovi risultati si aggiungono ai progressi che stiamo ottenendo negli stadi iniziali di malattia”.
Pembrolizumab è approvato come terapia adiuvante dei pazienti affetti da carcinoma a cellule renali negli Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e in altri Paesi del mondo sulla base dei dati di sopravvivenza libera da malattia dello studio KEYNOTE-564, che sono stati presentati per la prima volta all’ASCO Annual Meeting 2021.
Lo studio KEYNOTE-564
Il KEYNOTE-564 è uno studio di Fase III randomizzato, in doppio cieco che ha valutato pembrolizumab per il trattamento adiuvante dei pazienti affetti da carcinoma a cellule renali con malattia a rischio intermedio-alto, alto e M1 senza evidenza di malattia (NED) sottoposti a nefrectomia. L’endpoint primario è la sopravvivenza libera da malattia (DFS,) valutata dallo sperimentatore e gli endpoint secondari comprendono l’OS e il profilo di sicurezza. Lo studio ha arruolato 994 pazienti randomizzati 1:1 a ricevere pembrolizumab (200 mg endovenoso [IV] il giorno 1 di ogni ciclo di tre settimane per un massimo di 17 cicli) o placebo (soluzione salina IV il giorno 1 di ogni ciclo di tre settimane per un massimo di 17 cicli).
Il beneficio in sopravvivenza globale per i pazienti trattati con pembrolizumab è stato osservato nei sottogruppi principali, compresi i pazienti con malattia M0 (HR=0,63 [95% CI, 0,44-0,90]), M1 NED (HR=0,51 [95% CI, 0,15-1,75]), PD-L1 punteggio positivo combinato (CPS) <1 (HR=0,65 [95% CI, 0,31−1,38]) o CPS ≥1 (HR=0,62 [95% CI, 0,42−0,91]), e i pazienti con presenza (HR=0,69 [95% CI, 0,28−1,70]) o assenza (HR=0,57 [95% CI 0,39−0,84]) di caratteristiche sarcomatoidi. Tuttavia, lo studio non era disegnato per rilevare differenze statistiche tra i sottogruppi.
Il profilo di sicurezza di pembrolizumab è risultato coerente con quello osservato nei precedenti studi; non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza. Gli eventi avversi legati al trattamento (TRAEs) si sono verificati nel 79,1% dei pazienti (n=386) nel braccio pembrolizumab e nel 53,0% (n=263) di quelli nel braccio placebo. I TRAEs di grado 3-4 sono stati osservati nel 18,6% dei pazienti nel braccio pembrolizumab e nell’1,2% di quelli nel braccio placebo. Gli eventi avversi legati al trattamento che hanno causato l’interruzione di ogni terapia si sono verificati nel 18,2% dei pazienti nel braccio pembrolizumab e nello 0,8% dei pazienti nel braccio placebo. Non sono avvenuti decessi dovuti al trattamento.
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