Dopo il melanoma, l’immunoterapia si conferma efficacie anche nel trattamento del tumore del polmone. Secondo i dati presentati al Congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO) in corso a Madrid, la molecola immunoterapica nivolumab sarebbe in grado di triplicare e raddoppiare il numero di pazienti vivi a 3 anni, ovvero 1 su 5, rispetto alla chemioterapia rispettivamente nell’istologia squamosa e non squamosa.
Lo studio CheckMate -017 ha coinvolto 272 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule squamoso: a tre anni il 16% dei pazienti trattati con nivolumab (uno su 6) era vivo rispetto al 6% con la chemioterapia. E nello studio CheckMate -057, che ha coinvolto 582 persone con la forma non squamosa della malattia, il 18% era vivo dopo 36 mesi (cioè un paziente su 5), raddoppiando così la percentuale rispetto alla chemioterapia (9%).
Nel nostro Paese nel 2016 sono state registrate 41.300 nuove diagnosi di tumore del polmone (27.800 uomini e 13.500 donne). “L’Italia ha ricoperto un ruolo di primo piano in questi studi perché abbiamo arruolato il maggior numero di pazienti, circa il 10% del totale”, spiega Marina Garassino, responsabile della Struttura Semplice di Oncologia Medica Toracico Polmonare presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale di Tumori di Milano.
“Oggi possiamo parlare di cronicizzazione della malattia. Queste persone non solo vivono a lungo termine, ma hanno anche un’ottima qualità di vita, risultati impensabili prima dell’introduzione dell’immunoncologia. Solo il 15% dei casi di tumore del polmone riguarda i non fumatori, che di solito presentano mutazioni genetiche e possono essere trattati con farmaci a bersaglio molecolare. Ma l’85% delle diagnosi interessa i tabagisti, che non sono caratterizzati da queste alterazioni e non disponevano fino a pochi anni fa di alcuna arma realmente efficace”.
La ricerca italiana si distingue a Madrid anche per 5 presentazioni relative a nivolumab utilizzato nella pratica clinica quotidiana – continua Garassino – Si tratta di dati ‘real life’, relativi cioè a pazienti non selezionati come avviene invece negli studi clinici. Sono state coinvolte quasi 1600 persone, in alcuni casi in condizioni particolarmente critiche perché molto anziane o con metastasi cerebrali. I dati ‘real life’ confermano l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità della molecola anche in queste categorie di pazienti”.
“Il trattamento del tumore del polmone – conclude Garassino – è indirizzato sempre più verso la personalizzazione della terapia, anche grazie all’utilizzo dei biomarcatori. Fra i vari fattori un ruolo in questo senso potrà essere svolto in futuro dal tumor mutational burden: si basa sul principio che quanto più la cellula tumorale si differenzia da quella normale tanto maggiore è la possibilità che il sistema immunitario la riconosca come estranea e quindi si attivi per contrastarla”.