Uno studio i cui risultati dimostrano che con una nuova terapia si possono ridurre notevolmente i rischi della cosiddetta ‘malattia dell’ospite’, o ‘Graft versus host disease’ (Gvhd), la più pericolosa complicanza del trapianto di midollo osseo, è stato pubblicato sull’autorevole New England Journal of Medicine. Nello studio internazionale, che può avere importanti ripercussioni sulla pratica clinica di questo tipo di trapianto, tra gli ideatori c’è un’italiana, Francesca Bonifazi, trapiantologa al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, che dello studio è ‘Senior Author’. L’ipotesi degli autori è che l’aggiunta di un siero contro i linfociti (globulina anti linfocitaria, ATG), al regime standard di preparazione al trapianto riduca significativamente la possibilità che insorga la ‘malattia dell’ospite’, senza pregiudicare l’efficacia del trapianto. Nello studio 161 pazienti affetti da leucemia acuta sono stati randomizzati a ricevere un regime standard e lo stesso ma con l’aggiunta di ATG, prima del trapianto da cellule staminali emopoietiche da cellule staminali periferiche di un fratello HLA identico (cioè con la massima compatibilità). Dopo 24 mesi di osservazione l’incidenza della complicanza Gvhd cronica è stata del 68,7% nel braccio di controllo, del 32,2% in quello sperimentale. La Gvhd è la complicanza più temuta nei trapianti di midollo. Nel trapianto di cellule staminali emopoietiche infatti si trasferisce nel paziente non solo l’emopoiesi (cioè la produzione del sangue) del donatore, ma anche il suo sistema immunitario.
I linfociti del donatore sono da un lato parte della cura, visto che ‘attaccano’ non riconoscendole le cellule malate del ricevente. Ma possono spesso attaccare anche altre cellule del paziente, diventando una grave malattia (appunto, dell’organismo ‘ospite’) che lede gravemente organi e tessuti come cute, fegato, intestino od occhi. Con conseguenze che possono anche essere mortali. Di durata decennale, lo studio ha coinvolto 27 istituzioni tra Italia, Germania e Spagna, ed è stato ideato dal Nicolaus Kroger di Amburgo, Carlos Solanos di Valencia e appunto da Bonifazi dell’Istituto di Ematologia ‘Seragnoli’ del Policlinico di Bologna, che ha coordinato lo studio per l’Italia da cui provengono 90 dei 161 pazienti oggetti dello studio. Bonifazi da maggio presiede il Gitmo (Gruppo italiano per il trapianto di midollo osseo, cellule staminali emopoietiche e terapia cellulare), la più importante società scientifica nell’ambito del trapianto di cellule staminali emopoietiche in Italia. “Oggi sappiamo come fare un trapianto con rischi minori senza comprometterne l’efficacia – ha detto Bonifazi -. Questo studio definisce quale è il nuovo standard, e conoscere lo standard per qualunque terapia è fondamentale perché tutte quelle che varranno saranno confrontante con questa”. “L’articolo pubblicato oggi – ha commentato Michele Cavo, direttore dell’Unita operativa di Ematologia del Policlinico bolognese – è l’esempio migliore di come per il nostro istituto la ricerca sia al pari della attività clinica un modo efficace per aver cura dei nostri pazienti”. Al Sant’Orsola si eseguono ogni anni circa 1.500 trapianti di cellule emopoietiche.