Dire che lo studio delle falde acquifere possa diventare un modo per predire un evento tellurico, e quindi prevenirne alcune delle conseguenze, è forse prematuro, ma è ciò che suggerisce uno studio italiano pubblicato su Scientific Reports, coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e che vede coinvolti anche l’Infn e l’Università dell’Aquila.
Alcuni giorni prima del terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016 sono state infatti rilevate variazioni nella pressione e nella conducibilità elettrica delle falde acquifere in Abruzzo, sotto il massiccio del Gran Sasso a 39 chilometri dall’epicentro, nella zona vicina ai Laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
L’idea di studiare lo stato delle falde acquifere del Gran Sasso è venuta dopo il sisma che colpì L’Aquila nel 2009. Così tra il 2015 e 2017 sono state fatte misurazioni in modo continuo, che hanno permesso di rilevare anomalie nella pressione e nella conducibilità elettrica dell’acqua già cinque giorni prima del sisma, cioè il 19 agosto 2016. “Si è trattato di un’anomalia importante, associata alla risalita di gas dal profondo del sottosuolo. All’inizio non capivamo cose fosse, pensavamo si fosse rotto lo strumento”, osserva Gaetano De Luca, primo autore dello studio e ricercatore dell’Ingv.
“Erano nuvole di bolle entrate e uscite fuori dal rubinetto, migliaia di migliaia di bolle all’ora”. Una più attenta analisi ha poi permesso di rilevare che già avevano iniziato ad esserci delle anomalie, anche se molto deboli e non visibili a occhio nudo, già 40-45 giorni del terremoto. Un fenomeno che però non può essere considerato come un precursore di un terremoto. “Per ora si tratta di un dato. Per confermare che è un precursore – ha concluso – bisogna purtroppo aspettare un altro terremoto”.