Un gruppo di scienziati australiani ha scoperto la presenza di un potenziale marker della tendenza al suicidio, che sperano possa condurre a nuovi test e a trattamenti di tale forma di depressione. Il docente di neuroscienze Gilles Guillemin della Macquarie University di Sydney studia da 20 anni le implicazioni delle infiammazioni cerebrali nella depressione, nella vulnerabilità al suicidio e in altre malattie neurodegenerative. E nel 2013 con i suoi colleghi ha associato la sovrapproduzione di una piccola neurotossina, detta acido quinolinico, con il comportamento suicida. Ora una nuova ricerca, condotta in collaborazione con il Karolinska Institutet in Svezia e il Van Andel Research Institute in Usa, ha associato con il comportamento suicida la carente attività di un enzima chiamato ACMSD, che riduce la produzione di acido picolinico.
“Era noto da tempo che le persone che tentano il suicidio hanno dei marker di infiammazione cronica nel sangue e nel fluido spinale”, scrive Guillemin sulla rivista Translational Psychiatry. “Gli antidepressivi di uso comune hanno solo un effetto limitato perché hanno come target la serotonina – il ramo del triptofano associato con il senso di benessere – piuttosto che l’acido quinolinico, l’altro ramo del triptofano associato con le infiammazioni”, aggiunge. Le ultime ricerche rafforzano le evidenze finora raccolte e forniscono un’indicazione molto più chiara dei meccanismi biologici alla fase delle tendenze suicide, spiega ancora lo studioso. “Il prossimo passo sarà di formulare un semplice esame del sangue che individui sia l’acido quinolinico che l’acido picolinico, per determinare gli individui a rischio di togliersi la vita”.