Studio su 6.600 coppie in PMA: ecco le 5 strategie che hanno migliorato i tassi di successo in 10 anni

La legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita (PMA) ha compiuto 20 anni in Italia, un periodo trascorso fra referendum, divieti cancellati dalla Corte costituzionale e un dibattito ancora acceso. Ma dal punto di vista scientifico, quali sono state le strategie cliniche e di laboratorio che hanno più influito sul crescente successo delle tecniche di PMA in termini di bambini nati (ben 217.000 dal 2004 a oggi, attualmente il 4% delle nascite che avvengono ogni anno nel nostro Paese, dati ISS)? Un esteso studio firmato dal gruppo Genera presentato al 40° Congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (ESHRE) in corso ad Amsterdam, mette in evidenza le 5 strategie che hanno contribuito all’aumento progressivo dei nati da PMA in Italia: in media dal 32% nel 2010 al 42% nel 2020, con picchi fra il 70 e l’80% nelle donne ‘under 38’.

Si tratta delle terapie ormonali personalizzate e mai uguali da donna a donna mirate a ridurre rischio di complicanze, come l’iperstimolazione ovarica, senza però compromettere il risultato; la coltura a blastocisti, cioè portare gli embrioni prodotti in laboratorio al 5-7° giorno di sviluppo, lo stadio più adatto a facilitare poi l’impianto in utero; l’approccio freeze-all, cioè la scelta di congelare i gameti e gli embrioni prima di procedere con il trasferimento, in modo da avere tempo per ottimizzare le condizioni dell’utero materno; il test genetico pre-impianto (PGT) che consente di conoscere lo stato di salute degli embrioni prima del transfer; e infine, la più recente adozione dell’approccio multiciclo, cioè la sensibilizzazione della coppia a ‘non mollare’ e a considerare la PMA come un percorso, le cui potenzialità spesso non si concretizzano in un solo tentativo ma, in media, in almeno tre.

“Nel corso degli ultimi 10 anni, il periodo di tempo che abbiamo preso in considerazione per questo studio – spiega Alberto Vaiarelli, primo autore del paper, ginecologo e coordinatore medico-scientifico del centro Genera di Roma – l’implementazione e la crescente adozione di questi approcci hanno migliorato i risultati della fecondazione in vitro. L’indicatore principale del successo della fecondazione in vitro è il tasso cumulativo di bambini nati, ma ci sono altri risultati da considerare per una valutazione più approfondita dell’efficacia e dell’efficienza del trattamento, compreso il tempo necessario per arrivare ad aver un bambino, il tasso di aborto spontaneo e la prevalenza di gravidanze gemellari. Inoltre, la coppia dovrebbe essere sempre messa nelle migliori condizioni per pensare a un progetto di family planning, puntando ad avere più di un bambino, quando possibile”.

L’analisi è avvenuta considerando i dati di 6.600 coppie sottoposte a PMA nel centro Genera di Roma. Le coppie sono state divise in 11 gruppi in base all’anno del loro primo trattamento (anni: 2010-2020) e confrontate per verificare la nascita di un bambino entro 3 anni, la prevalenza di aborto spontaneo e di parto gemellare e la prevalenza di parti singoli di più di 2 bambini entro 6 anni. La stimolazione ormonale è avvenuta con protocolli diversi, tutti i pazienti sono stati sottoposti a ICSI (l’inseminazione intracitoplasmatica, ossia la tecnica di laboratorio che consente l’inserimento di un singolo spermatozoo all’interno dell’ovocita maturo) su ovociti freschi, ma con coltura o al 2-3° giorno di sviluppo o a blastocisti (5-7° giorno), trasferimento a fresco o con freeze-all, di embrioni non testati con PGT o testati e risultati cromosomicamente sani (euploidi), trasferimenti di embrioni singoli o multipli.

Ne è emerso che, nel corso degli anni, l’adozione delle strategie ipotizzate dagli esperti come le migliori per ottimizzare i tassi di successo è aumentata progressivamente e, da questo, ne è derivato un continuo miglioramento del tasso cumulativo di bambini nati a 3 anni: è aumentato in media dal 32% nel 2010 al 42% nel 2020, con picchi fra il 70 e l’80% nelle donne ‘under 38’ in caso di normale riserva ovarica. A ciò si accompagna il dimezzamento delle donne che hanno subito un aborto spontaneo (dal 12% a meno del 6%) e un calo delle donne con parto gemellare (dal 7,5% allo 0,5%).

“I progressi clinici e di laboratorio – conferma Vaiarelli – hanno migliorato l’efficacia e l’efficienza della fecondazione in vitro nel tempo, soddisfacendo anche il desiderio di pianificazione familiare. Le tecnologie che abbiamo in serbo per il futuro e il miglioramento dei flussi di lavoro ci serviranno per raggiungere l’obiettivo di una riduzione dell’abbandono del trattamento da parte delle coppie. Questo significa concepire la PMA come un percorso, un journey, e non come un singolo tentativo”.

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