(Reuters Health) – Il 99% dei giocatori di football americano soffrirebbe di danni al cervello causati da trauma, in particolare nella forma di encefalopatia traumatica cronica (CTE – Chronic Traumatica Encephalopathy). A dimostrarlo è stato uno studio pubblicato su JAMA. La ricerca è stata coordinata da Ann McKee, direttore di neuropatologia al VA Boston Healthcare System e del CTE Center alla Boston University School of Medicine.
Lo studio
I ricercatori americani hanno esaminato il cervello di 202 ex giocatori deceduti, che avevano praticato il football americano a qualsiasi livello, da quello amatoriale fino alla NFL, la massima divisione statunitense di questo sport. Complessivamente, l’87% era affetto da encefalopatia traumatica cronica. Gli ex atleti avevano giocato, in media, 15 anni. Per conoscere gli eventuali sintomi di CTE degli atleti deceduti, McKee e colleghi hanno chiesto informazioni ai parenti più stretti. Le autopsie a livello del cervello hanno mostrato che la CTE era presente nei giocatori di qualsiasi livello e più anni avevano giocato, maggiore era la probabilità di sviluppare CTE e di avere sintomi più gravi. Tra gli atleti che avevano giocato a scuola, il 21% aveva sviluppato CTE e tutti i casi erano lievi. Ma la maggior parte dei casi rilevati erano comunque gravi. Quasi tutti i 27 atleti con CTE lieve hanno avuto sintomi a livello di comportamento e di umore, l’85% aveva problemi cognitivi e il 33% aveva segni di demenza. Tra gli 84 ex giocatori di football con grave CTE, l’89% aveva avuto sintomi a livello di umore e comportamento, il 95% aveva avuto difficoltà a livello cognitivo e l’85% aveva mostrato segni di demenza. “
I commenti
Il dato forse più interessante, secondo quanto riferito da Munro Cullum, neuropsicologo all’O’Donnell Brain Insitute all’University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas, non coinvolto nello studio, sarebbe il fatto che il rischio di sviluppare CTE possa aumentare proporzionalmente agli anni di gioco. Un risultato che potrebbe essere spiegato da una varietà di fattori di rischio, come storia familiare di demenza o depressione, abitudini di vita come dieta, esercizio fisico, fumo o alcool. Tuttavia, il fatto che la CTE sia così comune, “pone preoccupazioni riguardo alla sicurezza del football americano”, come ha scritto in un editoriale che accompagnava l’articolo Gil Rabinovici, dell’Università della California di San Francisco. Dunque, “si dovrebbero apportare cambiamenti alle regole del gioco tali per cui siano ridotti i rischi di impatto alla testa”, ha concluso l’esperto, anch’egli non coinvolto nello studio.
Fonte: JAMA
Lisa Rapaport
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)