Marte è il pianeta che interessa i ricercatori più di tutti gli altri: è quello che con maggiore probabilità potrebbe avere ospitato delle forme di vita. Le ricerche scientifiche effettuate su questo pianeta sono quindi fondamentali per comprendere la sua storia, ma la notevole distanza che ci separa da esso implica costi notevoli per poterlo raggiungere.
Si potrebbe obiettare che nello spazio non c’è aria, le sonde che inviamo viaggiano nel “vuoto”, quindi non dovrebbe esserci attrito. Il problema è che il viaggio di una sonda interplanetaria viene inevitabilmente condizionato dall’attrazione gravitazionale dei corpi celesti: la Terra, il Sole, e Marte stesso. Le sonde che abbiamo inviato finora sul pianeta rosso sono state spedite seguendo una traiettoria calcolata appositamente dagli astrofisici tenendo conto proprio di queste forze singolarmente. In pratica, fino all’uscita dall’atmosfera terrestre si considera l’attrazione della Terra, poi si considera quella del Sole, e nell’ultimo tragitto quella di Marte. Ma il punto debole del sistema sta nella fase finale, quella dell’avvicinamento al pianeta Marte: è il momento più rischioso, e richiede una particolare tecnologia per frenare la “caduta” della sonda che altrimenti si schianterebbe al suolo. Questa tecnologia significa costi molto alti per le agenzie spaziali.
Una ricerca condotta dal politecnico di Milano e dall’Università di Princeton appena pubblicata, tuttavia, suggerisce una nuova possibilità. Tenendo conto di tutte le forze gravitazionali, è infatti possibile progettare una traiettoria di viaggio che permette un “atterraggio” molto più dolce di quelli attuali, e quindi con una tecnologia ridotta e costi quasi azzerati. Il trucco che si vuole usare è chiamato “cattura balistica”, e sfrutta un accurato bilanciamento tra la forza di Marte (che attrae la sonda verso di se) e quella del Sole e della Terra (che invece tendono ad allontanare la sonda da Marte facendola rallentare).
Il lato in un certo senso negativo di questa nuova traiettoria di viaggio è l’aumento del tempo necessario: servono infatti alcuni mesi in più. Ciò significa che si tratta di una buona soluzione per le missioni robotiche, ma non per l’invio di un equipaggio umano sul pianeta rosso. Del resto, per ora è comunque troppo presto per l’invio di donne e uomini su Marte, ed abbiamo ancora bisogno di raccogliere molte informazioni. La sensibile riduzione dei costi che la ricerca del politecnico di Milano e dell’università di Princeton può offrire, ci consentirebbe di inviare più missioni scientifiche sul quarto pianeta del nostro sistema solare.