Nuove prospettive e nuove cure si aprono per la sindrome dell’X fragile, la più comune causa di disabilità intellettiva ereditaria e la più frequente causa dei disturbi dello spettro autistico. I ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’Università di Lovanio hanno infatti scoperto una via molecolare che potrebbe portare a nuovi approcci terapeutici.
I risulti dello studio, pubblicato su Neuron, dimostrano come livelli alterati della proteina APP, coinvolta nella malattia neurodegenerativa dell’Alzheimer, siano legati ad alcune manifestazioni della sindrome dell’X fragile (Fxs). I ricercatori dell’Università Tor Vergata e dell’Università di Lovanio (in collaborazione con altri atenei italiani, europei ed americani), guidati dalla professoressa Claudia Bagni, hanno utilizzato un modello di Fxs animale; lo studio ha così dimostrato che è possibile migliorare alcune delle problematiche molecolari e comportamentali caratteristiche della sindrome dell’X fragile con una terapia somministrata successivamente alla nascita.
”La nostra ricerca identifica un meccanismo che, almeno nel topo, può essere migliorato nelle fasi successive alla nascita. Questa scoperta pone le basi per futuri approcci terapeutici mirati al miglioramento della sindrome dell’X fragile, ma anche di altre disabilità intellettive come l’autismo. Ulteriori studi sono però necessari perché tali risultati possano essere utilizzati nell’uomo”, spiega Bagni. Attualmente non è disponibile una cura per la sindrome dell’X fragile. Numerosi studi clinici in corso negli ultimi anni sono stati interrotti, rilevano i ricercatori, rendendo ad oggi ”impellente la necessità di esplorare nuove efficaci strategie terapeutiche”.