Un aumento di peso, anche se lieve come di due soli chilogrammi, può creare uno squilibrio ormonale che, a sua volta, può peggiorarne i sintomi della sindrome da rientro allungandone di fatto la durata. “Se l’effetto benefico delle vacanze sembra sparire in fretta, il ripristino della routine per circa la metà degli italiani, soprattutto donne, si associa a stress e preoccupazioni”, ha dichiarato Annamaria Colao, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (SIE) e Ordinario di Endocrinologia all’Università Federico II di Napoli.
E’ la cosiddetta sindrome da rientro, non una patologia che troviamo sui manuali di medicina, ma a tutti gli effetti una condizione reale che molti sperimentano dopo un periodo più o meno lungo di vacanza soprattutto d’estate. Si tratta di una risposta psico-fisica, caratterizzata da ansia, insonnia, irritabilità e stanchezza, che si prova al ritorno a una normalità diversa da quella rilassante e spensierata della vacanza.
“Secondo le stime della SIE, ne soffre fino al 45% della popolazione con una frequenza che nelle donne è da 2 a 3 volte maggiore rispetto agli uomini – ha precisato Colao – Un affaticamento che è in crescita anche a causa del long-covid che ha proprio la stanchezza profonda come sintomo principale. La sindrome da rientro, ha in genere natura breve e transitoria e dura da un paio di giorni a una settimana”, ha sottolineato Colao.
“Ma anche pochi chili in più presi durante le vacanze possono allungarne la durata fino a qualche settimana. In particolare – ha proseguito – lo stato infiammatorio causato da un aumento di peso anche lieve, può creare uno squilibrio ormonale mandando in tilt il sistema che trasforma il progesterone in allopregnanolone, l’ormone del benessere e aumentando i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. Questo, predisponendo ad ansia e stanchezza, oltre a peggiorare i sintomi della sindrome da rientro, in particolare l’affaticamento, ne può allungare la durata”.