L’industria dell’acquacoltura cinese, in rapida espansione, è sempre più dipendente dal cibo per pesci ottenuto a partire da pesce fresco pescato nel mare libero, una pratica che però tende ad esaurire le riserve di pesce. Un nuovo studio condotto da alcune istituzioni propone però un sentiero maggiormente sostenibile: esso consiste nel riciclo dei sottoprodotti di scarto degli impianti di lavorazione del pesce come cibo per i pesci cresciuti nelle riserve. Ciò porterebbe alla fornitura di una quantità compresa fra la metà ed i due terzi del cibo per pesci necessario agli allevamenti di pesce cinesi. La Cina è il principale paese produttore, lavoratore e consumatore di pesce del mondo, e contribuisce per un terzo alla riserva di pesce mondiale. La produzione cinese di pesce è triplicata negli ultimi 20 anni, e circa i tre quarti delle sue provviste derivano oggi dagli allevamenti di pesce. Il modo in cui la Cina sviluppa le sue acquacolture può dunque influenzare gli equilibri della disponibilità globale di pesce d’oceano, crostacei e molluschi. La pesca nelle acque costiere della Cina è scarsamente regolamentata, e spesso implica la cattura di grosse quantità di “scarti” frammisti alle prede previste: questo pesce di scarto non è adatto al consumo da parte dell’uomo, e viene impiegato come cibo per animali, fra cui quello che viene dato ai pesci negli allevamenti. Molte delle specie di pesce selvatico usate come alimento per animali sono state già pienamente sfruttate o sovrasfruttate, e ridurne la richiesta potrebbe aiutare a proteggere i fragili ecosistemi oceanici. Il riciclo dei prodotti di scarto degli impianti di lavorazione potrebbe rappresentare una soluzione promettente, dato che essi rappresentano il 30-70% del volume di pesce processato e di solito vengono gettati via o scaricati nelle acque più vicine. (Science, 2015; 347: 133)
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