Quanto è importante rendere consapevole e proattivo un paziente nel mantenimento della propria terapia? E in che modo la semplificazione terapeutica può aiutare il dialogo tra medico e paziente in ottica di collaborazione reciproca? A queste due domande hanno dato una risposta forte e chiara gli esperti riunitisi dall’11 al 13 aprile a Torino in occasione del Change in Cardiology 4.0.
Quando si discute del perché un paziente non è aderente come dovrebbe alla terapia che gli viene prescritta, uno dei motivi è sicuramente una carenza comunicativa da parte del proprio medico. Questo è vero per tutte le patologie e lo è, dunque, anche per il paziente dislipidemico ad alto rischio cardiovascolare.
Come premesso da Piera Angelica Merlini, cardiologa dell’ospedale Niguarda di Milano, “la terapia ipolipemizzante è una terapia salvavita, soprattutto in prevenzione secondaria e quindi l’aderenza a questa terapia è fondamentale per un atto medico consapevole”. Ma come si raggiunge questo? “Ascoltando il paziente, rendendolo consapevole dell’importanza di questo atto e rendendo più facile la sua vita nell’assunzione dei farmaci”. Per Merlini, la prima cosa da fare è dare delle terapie che sia efficaci anche a dosi minime in modo da consentire la massima tollerabilità.
Questo perché chiaramente il paziente sarà più incline ad assumere una terapia che non porta effetti collaterali e che risulta essere efficace. “Nel campo della terapia ipolipemizzanti”, ha chiarito Merlini, “questo può essere raggiunto attraverso le associazioni tra due farmaci con dei meccanismi d’azione diversa”, sistema questo “molto più efficace rispetto all’incremento delle dosi di un solo farmaco con il vantaggio di meno effetti collaterali. Inoltre, l’associazione permette di avere una sola compressa invece di due e si è visto, dagli studi, che anche nel campo ipertensivo una sola pillola verso diverse pillole ha un’aderenza del 78% rispetto al 30%”.
I pazienti devono diventare degli alleati e per fare questo serve spiegare loro come raggiungere i target terapeutici, serve spiegare l’importanza di una assunzione costante della terapia ed essere disponibili e aperti al confronto.
Dello stesso avviso è Michele Gulizia, Direttore UOC Cardiologia dell’Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania e Past Presidente della Fondazione Per il Tuo Cuore di ANMCO. Per Gulizia la comunicazione tra lo specialista cardiologo, ospedaliero o ambulatoriale, e il paziente è fondamentale. Questo perché “oggi il paziente ad alto rischio cardiovascolare spesso non conosce il target terapeutico, il colesterolo LDL, che deve raggiungere o deve mantenere per evitare di incorrere in un evento coronarico o, se lo ha già avuto, per prevenire una recidiva”, ha specificato l’esperto.
E il problema è anche organizzativo, di sistema. “Spesso nella lettera di dimissione ospedaliera manca il target lipidico del paziente e questo è un aspetto che invece andrebbe particolarmente approfondito perché l’ipercolesterolemia permanente non è solamente un fattore di rischio, è comprovatamente il fattore causale che sviluppa l’aterosclerosi coronarica e che quindi provoca l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale”, ha ribadito con forza Gulizia.
Ma il ruolo dello specialista è fondamentale anche per un altro aspetto. “Oggi il target lipidico non è certo quello del laboratorio analisi che troviamo indicato come valori normali, ma è un valore che va calcolato dal medico di base, dallo specialista soprattutto cardiologo, dall’internista, che deve dire al paziente in funzione della sua prevenzione primaria o secondaria se è 40 se è 55 se è 100 o anche appena superiore”. Questo vuol dire personalizzare la terapia e instaurare un rapporto personalizzato con il paziente che si sentirà più partecipe e meglio preso in carico dal proprio medico.
Non bisogna infatti mai dimenticare che, come sottolineato da Giuseppe Musumeci, Direttore della Cardiologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino, “le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nel mondo occidentale e ogni anno in Italia 100mila pazienti vengono colpiti da infarto miocardico acuto”. Ma il problema vero, sottolinea l’esperto, è riuscire a ridurre la mortalità a lungo termine. Per fare questo serve abbattere il rischio residuo e quindi “abbattere soprattutto il fattore causale di malattia cardiovascolare che sono i livelli di colesterolo in particolar modo i livelli di LDL”. Per questo è necessario “fare una terapia estremamente aggressiva del colesterolo, una terapia di combinazione dall’inizio” ed è importante che il paziente sia compliante con questa terapia.
Anche per lo specialista cardiologo Antonio Cardile, “la possibilità di essere compianti nell’assunzione della terapia da parte del paziente dipende essenzialmente dalla comunicazione tra il medico e il paziente stesso o tra il medico e i caregiver”. È necessario trasmettere l’importanza dell’assunzione della terapia nelle modalità e nei tempi indicati dal medico. Lo specialista deve quindi dedicare parte del tempo che ha a disposizione per la visita a comunicare con il paziente affinché questi non si senta in una posizione di inferiorità e capisca perfettamente l’importanza dell’assunzione dei farmaci.
Avere a disposizione le formulazioni a combinazione fissa è un grande passo avanti verso l’adesione alla terapia e verso la persistenza, soprattutto per quanto riguarda le terapie ipolipemizzanti, ma il paziente deve essere adeguatamente informato. Se questo non avviene, l’efficacia di questi farmaci, che prevedono in una unica pillola la combinazione di più principi attivi in grado di abbattere i livelli di colesterolo, viene meno.