(Reuters) – Dalle gocce di umore acqueo sarebbe possibile evidenziare la presenza di DNA tumorale, per la diagnosi di retinoblastoma, nonché per valutare prognosi e risposta ai trattamenti. Una ‘biopsia liquida’ vera e propria, messa a punto da Jesse Berry dell’University of Southern California di Los Angeles, e colleghi. I risultati sono stati riportati su JAMA Ophthalmology.
Lo studio
Berry e colleghi hanno valutato diversi casi di retinoblastoma tra il 2014 e il 2015. I ricercatori hanno isolato DNA libero in sei campioni di umore acqueo dagli occhi di tre bambini, due dei quali sono andati poi incontro a enucleazione, ovvero asportazione dell’occhio. La valutazione dell’umor acqueo da campioni prelevati dall’occhio asportato avrebbe mostrato variazioni del materiale genetico compatibili con quelle tumorali. Inoltre, una mutazione nonsenso su RB1 da un bambino sarebbe stata identificata dai campioni di umor acqueo ottenuti nel corso dell’iniezione di melfalan, corrispondente alla caratterizzazione del tumore fatta secondariamente.
I commenti
“L’aspetto più interessante di questa ricerca è avere finalmente accesso al DNA tumorale, senza doverlo prelevare tramite biopsia dall’occhio – spiega Berry – Questo studio dimostra che l’umor acqueo ha un enorme potenziale come surrogato della biopsia classica. Questo è un primo passo verso la medicina di precisione nei bambini affetti da questa forma di cancro mortale”, ha concluso. Secondo William Harbour dell’University of Miami School of Medicine, “il risultato più sorprendente è che una piccola quantità di liquido prelevato dalla parte anteriore dell’occhio può contenere abbastanza frammenti di DNA tumorale sufficienti a determinare con precisione valori relativi al retinoblastoma, collocato nella parte posteriore dell’occhio. L’affinamento di questa tecnologia potrebbe migliorare notevolmente lo standard di cura – ha aggiunto l’esperto – identificando in modo oggettivo quali pazienti possono beneficiare di trattamenti e dovrebbero effettivamente andare incontro a enucleazione primaria”. Mentre Irina Belinsky, della NYU Langone Health di New York, ha spiegato che “anche se i risultati sono stati riportati solo su un piccolo campione, la conclusione è eccitante. Forse uno studio multicentrico potrebbe aiutare a convalidare questi risultati promuovendo i significativi progressi fatti finora”.
Fonte: JAMA Ophthalmology
di Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)