Mangiare da soli, bere, scrivere, riuscire ad afferrare una carta di credito: per la prima volta sei persone con braccia e gambe paralizzate sono riuscire a compiere da sole queste azioni. Lo hanno fatto con l’aiuto di un guanto hi-tech realizzato in Italia dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, controllato in modo non invasivo da elettrodi posti all’interno di una cuffia, realizzati in Germania, dal gruppo dell’Università di Tubinga guidato da Surjo Soekadar. Il risultato è pubblicato sul primo numero della rivista Science Robotics, la prima rivista dedicata ai robot dal gruppo editoriale di Science, nel quale l’Italia è presente con due articoli.
Le prime sei persone che grazie al guanto hi-tech sono riuscite ad aprire e chiudere le mani, controllandone i movimenti, sono cinque uomini e una donna di età compresa fra 14 e 30 anni. Sono riusciti a compiere azioni altrimenti impossibili grazie alla tecnologia che traduce l’attività del cervello e il movimento degli occhi in semplici comandi di apertura e chiusura della mano, che vengono trasmessi con una tecnologia wireless. Gli elettrodi sono nella cuffia, posti sulla testa e a lato degli occhi, e la “centralina” di controllo è incorporata nella sedia a rotelle.
La sperimentazione, alla quale l’Italia ha partecipato anche con la Fondazione Don Gnocchi di Firenze e l’ospedale San Camillo di Venezia, è stata condotta in Spagna, dal gruppo dell’istituto per la riabilitazione Guttmann di Barcellona guidato da Eloy Opisso. un passo importante per rendere disponibili questi dispositivi in un futuro non molto lontano, meno di dieci anni secondo gli esperti. “Abbiamo sicuramente fatto un importante passo in avanti”, ha detto Nicola Vitiello, che ha coordinato la ricerca per l’Italia con Maria Chiara Carrozza, entrambi dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Sant’Anna.
“Si tratta – ha aggiunto – della prima fase di una sperimentazione molto preliminare e tesa a dimostrare il funzionamento di questa tecnologia. La strada per renderla disponibile a chiunque ne abbia bisogno e’ lunga, ma i ricercatori sono ottimisti e guardano al futuro: “in Italia contiamo di mettere a punto entro il 2017 il protocollo per una nuova sperimentazione”, ha detto Maria Chiara Carrozza. “Serve anche l’interesse dell’industria per abbattere i costi – ha aggiunto – e rendere queste tecnologie alla portata di tutti. Bisognerà trovare la strada, ma è possibile che questo possa richiedere meno di dieci anni”.