In occasione dell’EADV 2022 che si è tenuto a Milano, la Task force SIDeMaST Psoriasi Donna ha presentato i risultati di una Survey condotta in 13 centri in Italia, che è stata proposta alle donne in età fertile dai 18 ai 45 anni per testare la loro conoscenza nei confronti della psoriasi e del suo impatto durante la gravidanza. Dallo studio è emerso che, per quanto le donne siano consapevoli di poter intraprendere un percorso di pianificazione familiare, spesso hanno paura che i figli possano ereditare la loro malattia. Inoltre, la metà della pazienti non sa cosa accadrà alla propria malattia durante la gravidanza.
“I nostri risultati hanno mostrato che molti aspetti della psoriasi in gravidanza sono noti alle pazienti, mentre due questioni hanno bisogno di un ulteriore approfondimento: la donna in gravidanza non sa se la malattia (psoriasi cutanea e artrite psoriasica) peggiorerà in gravidanza e non conosce l’influenza della malattia, sopratutto nelle sue forme gravi, sugli outcome della gravidanza stessa”, spiega in un’intervista Maria Concetta Fargnoli, Professore Ordinario di dermatologia presso l’Università degli Studi dell’Aquila e Direttore dell’Unità operativa di dermatologia dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila. “Pensiamo quindi che il dermatologo possa fare di più, in termini di comunicazione, per supportare la donna al momento della pianificazione familiare”.
Nell’ultimo decennio tutto il contesto della ricerca è cambiato e c’è stata un’attenzione crescente verso il tema delle differenze di genere nell’ambito della malattia psoriasica.
“A differenza delle precedenti linee guida del 2017, le attuali linee guida italiane ed europee affrontano con maggiore chiarezza il problema del trattamento della psoriasi in gravidanza”, continua Fargnoli. “Contrariamente a quanto si credeva in passato oggi sappiamo che il 45% delle donne non presenta un miglioramento della malattia durante la gravidanza e il 65% delle pazienti può presentare perfino una riacutizzazione della malattia dopo la gravidanza, in caso di sospensione del trattamento”.
Le linee guida sottolineano dunque l’importanza di una continuità terapeutica sopratutto nelle forme severe ed artropatiche della malattia, anche in gravidanza. Certolizumab pegol è il farmaco di prima scelta, grazie alla sua struttura unica che lo rende compatibile con tutto il percorso della donna: prima, durante e dopo la gravidanza. “Si tratta di un anti-TNFalpha che non passa attraverso la placenta e non viene trovato nel latte delle donne che allattano e che sono in terapia. Per questo è il farmaco consigliato per le pazienti in età fertile che portano avanti una gravidanza o che pianificano una gravidanza. Alla sicurezza si associa una notevole efficacia, fino a tre anni, mostrata negli studi clinici”.