Per la prima volta, scienziati sequenziano geni nello spazio

spazio(Reuters) – Dato il suo background come ricercatrice di alcuni dei patogeni più letali sulla terra, tra cui Ebola, i colleghi dell’astronauta appena arrivata Kate Rubins si aspettavano che volesse dedicarsi a una “pazza fantascienza” sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Invece, Rubins ha spinto per esperimenti attentamente controllati con un mix di batteri, un comune virus e delle cellule di topo, tutti già ripetutamente sequenziati e sicuri per essere testati nell’ambiente a circuito chiuso della stazione spaziale.

Rubins, una microbiologa qualificata arrivata alla stazione spaziale sabato, userà i campioni per mettere a dura prova il sequenziatore MinION di Oxford Nanopore, un sequenziatore di DNA tascabile.

I test intendono provare se è possibile utilizzare la tecnologia per comprendere i microbi nella stazione spaziale, esaminare i colleghi astronauti in cerca di cambiamenti genetici che potrebbero diagnosticare una malattia e, nelle missioni future, potenzialmente testare i campioni da Marte e altrove per trovare segni di vita in base al DNA.

Una delle prime cose che gli scienziati devono dimostrare è la misura in cui la macchina lavora bene in microgravità. “La tecnologia si comporta in maniera diversa qui. I liquidi si comportano in maniera diversa qui”, ha dichiarato Rubins in un’intervista dalla Stazione Spaziale Internazionale.

Il sequenziatore MinION, che più o meno è grande quanto uno smartphone, agisce in maniera fondamentalmente diversa dagli attuali sequenziatori di DNA, ha affermato Sarah Wallace, una microbiologa presso il Johnson Space Center del National Aeronautics and Space Administration di Houston.

Con molti sequenziatori, gli scienziati inseriscono un campione ed esso funziona per 24-48 ore, poi si ferma. Il sequenziatore della stazione mostra la sua analisi mentre è in azione.

“Entro alcuni minuti dal caricamento del campione, si iniziano a ricevere i dati della sequenza. Quindi per quanto tempo funziona dipende dalla questione scientifica che si pone”, ha aggiunto.

Sarà il primo uso della macchina nello spazio, ha detto Wallace in un briefing che si è tenuto mercoledì.

Attualmente, i campioni dallo spazio devono essere congelati e rispediti sulla Terra per essere analizzati.

“Non riusciamo ad analizzare tutto ciò che accade agli uomini e alle cellule in tempo reale”, ha dichiarato Rubins.

In futuro, Rubins vorrebbe usare il sequenziatore di DNA per comprendere più a fondo le potenziali colonie di microbi che si sono stanziati nel sistema idrico della stazione e altrove a bordo del laboratorio orbitante.

“Abbiamo un’acqua meravigliosamente pulita, ma un sistema idrico in funzione da 15 anni. Abbiamo dei microbi che vivono nel sistema?”, ha continuato.

Se vengono effettuati tutti i controlli, il sequenziatore del DNA potrebbe essere usato per contribuire a diagnosticare malattie negli astronauti operanti nella stazione spaziale e a comprendere se i microbi che causano le malattie sono suscettibili agli antibiotici, aiutando così a conservare importanti farmaci che non possono essere prontamente riforniti.

Il dispositivo si unisce a una serie di altri strumenti diagnostici presenti sulla stazione.

“Questi generi di tecnologie genomiche piccole e portatili ci permetteranno di esaminare, in tempo reale, cosa accade davvero al tessuto osseo. Cosa succede al sistema immunitario, cosa accade ad una popolazione di microbi allevati in una beuta per colture, ha proseguito Rubins.

Testare il sequenziatore di DNA nello spazio potrebbe anche aprire la strada al suo uso in aree remote o povere di risorse del nostro Pianeta.

“Questo tipo di dispositivo è un qualcosa che si potrebbe usare nelle aree in via di sviluppo, in una situazione di epidemia, in un contesto clinico in cui si hanno a disposizione poche risorse per acquistare un sequenziatore su vasta scala”, ha riferito Rubins.

La microbiologa ha dichiarato che la stazione spaziale è un “luogo incredibile” per testare la performace del dispositivo quando le capacità di potenza e elaborazione dei dati sono limitati”.

“Dobbiamo progettare dispositivi che lavoreranno nelle stazioni spaziali e nelle aree più remote della Terra”, ha concluso.

Reuters

spazioIrene Klotz e Julie Steenhuysen

(Versione Italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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