(Reuters Health) – I cambiamenti a livello di marker di formazione ossea indotti dal trattamento farmacologico contro l’osteoporosi sono fattori predittivi del rischio di andare incontro a fratture vertebrali. Douglas Bauer e colleghi, dell’Università della California di San Francisco, lo hanno evidenziato facendo una una metanalisi degli studi pubblicati. Metanalisi che appare sull’ultimo numero del Journal of Bone and Mineral Research.
La metanalisi
I farmaci usati per trattare l’osteoporosi determinano cambiamenti a breve termine nei marker del turnover osseo, ma pochi studi si sono soffermati sul collegamento tra questi cambiamenti e la conseguente riduzione del rischio di frattura. Bauer e colleghi hanno analizzato i dati relativi a 28mila partecipanti coinvolti in 14 diversi trial clinici, di cui 11 sui bifosfonati e tre sui modulatori selettivi del recettore degli estrogeni, per capire se i cambiamenti a breve termine dei marker del turnover osseo – indotti dal trattamento farmacologico – potessero risultare utili a predire cosa sarebbe successo a livello di fratture.
I risultati
In generale, una maggiore riduzione dei markers del turnover osseo risulta associata a una maggiore riduzione nel rischio di frattura e l’associazione risulta più evidente con i marcatori della formazione ossea, come la fosfatasi alcalina specifica dell’osso (ALP ossea) e il pro-peptide N terminale del procollagene di tipo 1 (PINP), piuttosto che per i marcatori di riassorbimento osseo, come il telo-peptide N- terminale e C- terminale del collageno di tipo I.
In particolare, le riduzioni del 12% e del 30% della ALP ossea risultano collegate a un calo, rispettivamente, del 33% e del 65% del rischio di fratture vertebrali. Mentre le riduzioni del 22% e del 50% di PINP sono collegate a una riduzione, rispettivamente, del 30% e del 62% del rischio di fratture vertebrali. Nessun cambiamento di ALP e PINP sarebbe invece collegato alla riduzione del rischio di fratture non vertebrali o all’anca.
Il commento
“Questi risultati possono essere utili per lo sviluppo di nuovi trattamento contro l’osteoporosi o quando si prendono in considerazione nuovi regimi di dosaggio con i trattamenti esistenti”, dice Bauer . Mentre secondo Richard Eastell, dell’Università di Sheffield, in Regno Unito, co-autore dello studio, “la nostra speranza è che i cambiamenti nei marcatori potranno aiutare a identificare dose e regime ottimali, anche con le nuove eventuali terapie”.
Fonte: Journal of Bone and Mineral Research
Will Boggs
(Versione italiana per Daily Health Industry)