(Reuters Health) – La densità minerale ossea (BMD – bone mineral density), in particolare quella a livello lombare, potrebbe non indicare in modo affidabile la presenza di fratture asintomatiche vertebrali nelle donne in post-menopausa. A suggerirlo è uno studio italiano pubblicato da Bone e coordinato da Caterina Trevisan, dell’Università di Padova.
Lo studio
Secondo i ricercatori, le fratture vertebrali, in particolare quelle multiple, alterano l’autosufficienza dei pazienti e aumentano mortalità e morbidità. Inoltre, sono associate a un maggior rischio di soffrire di nuove fratture. Per lo studio, Trevisan e colleghi hanno esaminato i dati raccolti su 1.132 donne in post-menopausa, di età media di 64 anni, che sono state tenute sotto controllo con visite ambulatoriali per l’osteoporosi e che non stavano assumendo farmaci per l’osteoporosi.
La metodologia
Tutte le partecipanti si sono sottoposte ad assorbimetria a doppio raggio X per valutare la BMD e i T-scores per vertebre lombari (L1-L14) e femore totale. Le fratture vertebrali sono state diagnosticate sulla base di una riduzione di almeno il 20% dell’altezza vertebrale osservata nella radiografia laterale delle regioni toracica e lombare. La prevalenza complessiva delle fratture vertebrali sarebbe stata del 28,2% e la prevalenza per gruppo di età variava dal 15,5% nelle donne sotto i 60 anni al 44,1% nelle pazienti con 71 anni o più anziane. Quasi l’83% delle fratture non sarebbe stato diagnosticato prima. Infine, quando i ricercatori hanno esaminato i valori di BMD nei pazienti in base alla presenza di nessuna, una, due o più fratture vertebrali, non hanno rilevato differenze significative tra le BMD lombari, tra i diversi gruppi.
Le conclusioni
Secondo le attuali linee guida italiane o le raccomandazioni dell’International Society of Clinical Densitometry, gli autori hanno evidenziato che un numero considerevole di pazienti, specialmente quelli sotto ai 60 anni, non si sottopongono a raggi X a livello spinale. “Il miglioramento delle attuali raccomandazioni per l’esame radiologico spinale potrebbe portare a un’identificazione precoce e una migliore gestione dei pazienti con fratture vertebrali, specialmente in gruppi più giovani di età”, dice Trevisan.“Attualmente è difficile capire se e come vengono seguite le linee guida sull’imaging vertebrale”, sottolinea Anne Schafer, dell’Università della California di San Francisco. Le nuove scoperte aiuteranno a informare la conversazione tra medico e paziente, dal momento che “le organizzazioni professionali e i singoli specialisti decidono quali linee guida pubblicare e seguire”, aggiunge l’esperta, non coinvolta nello studio.
Fonte: Bone
Scott Baltic
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)