(Reuters Health) – La metformina ridurrebbe l’indice di massa corporea (BMI) e i rischi cardiovascolari collegati all’obesità in età prepuberale, ma non in pubertà. A evidenziarlo è stato uno studio spagnolo del team di Concepcion Aguilera, dell’Università di Granada. La ricerca è stata pubblicata su Pediatrics.
Lo studio
Aguilera e colleghi hanno preso in considerazione 80 bambini in età prepuberale e 80 in pubertà, obesi e non affetti da diabete e con un BMI sopra il 95° percentile. I partecipanti hanno ricevuto metformina o placebo per sei mesi e sono stati controllati all’inizio e in due tappe intermedie durante lo studio. Ai pazienti, i ricercatori spagnoli hanno chiesto di aumentare gradualmente il dosaggio del farmaco passando da 50 mg due volte al giorno per 10 giorni a 500 mg due volte al giorno, fino alla fine dello studio. In totale, 67 bambini in età prepuberale e 73 tra quelli in pubertà sono arrivati alla fine dello studio. La metformina ha determinato una riduzione dell’indice di massa corporea corretto per età e sesso di -0,8 punti, rispetto a -0,6 del placebo. Inoltre, i bambini in età prepuberale trattati con metformina avrebbero avuto un aumento significativo dell’indice di controllo dell’insulina, che è arrivato a 0,01 da -0,007 del placebo. Anche i markers infiammatori, tra cui l’interferone gamma e l’attivatore del plasminogeno-1 totale, sarebbero migliorati, scendendo sotto i valori registrati nel gruppo placebo. Di contro, non ci sarebbero stati cambiamenti nel gruppo trattato in pubertà. In nessun gruppo, infine, sono stati registrati eventi avversi gravi.
I commenti
Secondo Paul Kaplowitz, del Children’s National Health System di Washington, i risultati dello studio non sarebbero così significativi. “La ricerca mostra un modesto effetto della metformina sulla perdita di peso nei bambini – dice l’esperto– la differenza con altri studi, semmai, può essere nel dosaggio utilizzato, relativamente basso”. Secondo Kaplowitz, inoltre, lo studio non avrebbe esaminato l’effetto del farmaco sull’assunzione di cibo, un parametro chiave per stabilire perché alcuni pazienti perdono peso e altri no. Infine, l’esperto ha sottolineato che la gran parte di questi studi non vanno oltre i sei mesi e “non vi è alcuna prova che il trattamento a lungo termine fornisca ulteriori vantaggi”. Un merito andrebbe invece dato ai ricercatori per aver distinto tra l’età prepuberale e quella puberale secondo Sophia Yen, specialista in medicina dell’adolescenza alla Stanford University School of Medicine di Palo Alto, in California. “La pubertà è una fase nota per la resistenza all’insulina”, ha spiegato l’esperta, che concorda con Kaplowitz sul fatto che probabilmente il mancato effetto sugli adolescenti potrebbe essere dovuto al basso dosaggio somministrato, lo stesso dato ai bambini prima della pubertà.
Fonte: Pediatrics
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)