Vedere qualcuno che sorride e non riuscire a non fare altrettanto. Tranquilli non state impazzendo, semplicemente non potete farne a meno, è contagioso. Anche il sorriso, esattamente come lo sbadiglio, “si attacca”. Questo accade perché istintivamente mimiamo le espressioni degli altri per empatizzare con loro e metterci in qualche modo nei loro panni, sperimentando le stesse emozioni. Questa è la ragione per la quale se non siamo in grado di ‘riflettere’ come in uno specchio il volto di un’altra persona, potremmo limitare la nostra capacità di ‘leggere’ e reagire alla sue espressioni correttamente. Questo è quanto emerge da uno studio dell’Università del Wisconsin, pubblicato su Trends in Cognitive Sciences.
La ricerca
Dallo studio, una revisione di ricerche precedenti, emerge che tendiamo in situazioni di socialità a simulare le espressioni facciali altrui per creare una sorta di risposta emotiva: se ci si troviamo ad esempio in compagnia di un amico triste potremmo a nostra volta assumere un’espressione triste senza neppure realizzare di averlo fatto, perché ciò ci aiuta a riconoscere quello che l’amico sta provando associandolo ad altre esperienze passate in cui noi stessi abbiamo avuto la stessa espressione. Questa capacità di riconoscere e condividere emozioni – rilevano gli studiosi – può essere inibita se non si riesce a mimare le
espressioni, come ad esempio accade con una paralisi facciale dopo un ictus o nella paralisi di Bell, o ancora dopo un danneggiamento del nervo dovuto alla chirurgia plastica e rappresenta una sfida anche per persone con disturbi legati alla socialità come l’autismo.