Mieloma multiplo. Aspettativa di vita in aumento e assistenza sul territorio, il paradigma di una malattia da applicare per la prossimità delle cure

Secondo tumore del sangue per diffusione, il mieloma multiplo colpisce soprattutto la popolazione anziana, che presenta in aggiunta una o più patologie concomitanti. Si contano ogni anno 6.000 nuovi casi, con un’età media di circa 70 anni. Ma il dato che più colpisce è come, per i pazienti affetti da questa patologia, la sopravvivenza media sia passata da 7 mesi a oltre 10 anni, alternando a episodi di recidive momenti di remissione, con tutto sommato una buona qualità di vita. Questa malattia può dunque fungere da paradigma per lo sviluppo della gestione dei pazienti cronici sul territorio: il mieloma multiplo rappresenta, tra le patologie onco-ematologiche, un caso studio per l’arrivo delle future terapie innovative, dato anche che i centri ospedalieri di riferimento iniziano a non avere più la capacità sufficiente per gestire una patologia in fase di cronicizzazione.

Se ne è parlato nel corso dell’incontro WEHEALTH “Oncoematologia di prossimità per migliorare la qualità di vita dei pazienti: Il modello mieloma multiplo”, promosso da La Lampada di Aladino ETS in partnership con Sanofi e in collaborazione con SICS (Società italiana di Comunicazione scientifica e sanitaria), al quale hanno partecipato, moderati da Corrado De Rossi Re, direttore di Sanità Informazione, Davide Petruzzelli, Presidente de La Lampada di Aladino ETS; Coordinatore Nazionale Gruppo Neoplasie Ematologiche FAVO, Maria Teresa Petrucci, Dirigente Medico presso l’Ematologia dell’Azienda Policlinico Umberto I, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università Sapienza di Roma, la senatrice Tilde Minasi, Membro 10ª Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato e Filippo Cipriani, Public Affairs Specialty Lead di Sanofi Italia.

Per il nostro Servizio sanitario nazionale la sfida della cronicità è oggi una delle più complesse. Il DM 77 delinea un percorso chiaro sulle attività che gli ospedali di comunità devono attivare e una presa in carico territoriale delle patologie oncologiche passa anche attraverso la costruzione di percorsi condivisi tra centri di eccellenza e territorio. Per quanto riguarda l’oncologia, il mieloma multiplo è un modello di co-gestione ospedale territorio per migliorare la qualità di vita dei pazienti che devono spesso recarsi presso i centri di eccellenza anche solo per prestazioni a bassa intensità di cura come, ad esempio, eseguire delle analisi del sangue oppure infondere farmaci. A questi pazienti che spesso devono fare tanti chilometri per raggiungere i centri e perdere una intera giornata lavorativa per una infusione che dura meno di un’ora, deve essere garantito la possibilità di ottenere queste prestazioni in prossimità del loro domicilio, diminuendo i costi sociali ed indiretti della patologia. Ma quali sono le maggiori criticità da affrontare?

Secondo Davide Petruzzelli, “l’eccellenza italiana nell’assistenza ai pazienti ematologici è riconosciuta a livello internazionale, ma la scommessa è: ancora per quanto sarà così? Ormai i medici sono strangolati dalle incombenze burocratiche, con il 47% del tempo lavoro che viene dedicato alla compilazione di dati amministrativi. Questa è la prima pietra che fa da ostacolo nel recepire l’innovazione. Per noi pazienti sono importanti poi i tempi con cui possiamo ricevere la nostra terapia, altra cosa che non va data per scontata: oggi i pazienti leggono, studiano e diventa difficile dopo un anno e mezzo dal via libera europeo spiegargli perché a loro non è ancora arrivato un nuovo farmaco. In ogni caso, quello del mieloma multiplo è un esempio paradigmatico di cosa significa cronicità: è incredibile quanta vita abbiamo guadagnato rispetto ad alcuni anni fa. Questo ha inevitabilmente delle accezioni positive, posso continuare a vivere, ma anche negative, ho la mia quotidianità, devo andare avanti e ho dei bisogni. Spesso i pazienti sono anziani e fanno fatica a raggiungere l’ospedale, non hanno vicino una famiglia che possa assisterli, e così i costi sociali impattano sulle tasche dei pazienti come su quelle del sistema. Se il tempo medico venisse gestito meglio, spostando alcune attività sugli amministrativi che le fanno anche meglio, avremmo un impatto positivo per i pazienti e per tutto il sistema. C’è poi la necessità del supporto psicologico strutturato su questa categoria di pazienti perché a oggi questo viene vicariato alle associazioni di pazienti. È un diritto negato o perlomeno, a oggi, erogato a singhiozzo. Proprio perché questa malattia è cronica e altalenante, per noi il territorio è fondamentale: libera quel tempo medico di cui dicevamo, consentendo di allocare alcuni tipi di follow up che occupano tempo ai clinici, liberando slot per i casi acuti. Oggi occorre decentralizzare per far vivere meglio noi e per efficientare il sistema. Questa è un’opportunità che abbiamo e dobbiamo avere il coraggio di provare a calarla a terra. Infine, le associazioni di pazienti: sono una risorsa unica, non è la migliore ma è quella che ci aiuta a comprendere meglio come sta andando il percorso dei malati. Questo è stato sancito con un documento di Agenas che definisce il loro ruolo nelle reti oncologiche: ora bisogna dare concretezza anche a questo principio”.

Anche le aziende del farmaco hanno il loro ruolo all’interno del sistema, non solamente relativo al mettere a disposizione nuove cure: “Non ci può essere innovazione – ha detto Filippo Cipriani, Public Affairs Specialty Lead di Sanofi Italia – se non arriva in modo pronto e capillare a tutti i cittadini. Nel mieloma multiplo siamo a fianco di Lampada di Aladino Oltre il Cancro, con cui abbiamo avviato un percorso di awareness a livello istituzionale, con una edusurvey che ha tradotto i bisogni di questi pazienti. Sanofi al di là della sua eredità in R&S vuole essere protagonista anche di partnership pubblico-private che possano portare ai cittadini valore, un valore che si traduca in qualità della vita. Le terapie mirano a dare una vita piena e ricca di soddisfazioni che passa attraverso nuovi modelli gestionali come la telemedicina, approcci nuovi di follow-up che tengano sotto controllo la malattia ma che sollecitino contatti con il SSN in cui è giusto che l’ospedale venga sgravato dalla bassa complessità, consentendo di trovare sul territorio tutte le risposte ai bisogni di cura”.

I modelli nati per la gestione di questa terapia ci sono e sono stati passati in rassegna durante l’incontro. “La nostra – ha raccontato Maria Teresa Petrucci, Dirigente Medico presso l’Ematologia dell’Azienda Policlinico Umberto I, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università Sapienza di Roma – è un’esperienza nata anni fa, partita soprattutto per i pazienti terminali, o con maggiori difficoltà a raggiungerci. Ora è stata estesa a pazienti che anno problematiche come lesioni ossee e conseguenti dolori, che rendono difficile intervenire in ospedale con terapie specifiche. Spesso il problema è non poter iniziare le terapie, ma proseguirle correttamente per non compromettere un decorso che invece oggi riusciamo a cronicizzare. Medici e infermieri della nostra struttura raggiungono quindi i pazienti a casa somministrando farmaci, eseguendo emotrasfusioni e prelievi, insomma facendo a casa quello che di norma si fa nel nostro istituto, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita di pazienti perlopiù anziani che richiedono aiuto familiari. Spostare l’assistenza sul territorio ma anche a casa ha un impatto positivissimo per paziente e caregiver e tutto ciò che ruota attorno alla malattia. La nostra esperienza non è così estesa e anche qui alcuni pazienti possono usufruirne mentre altri no. Non c’è comunque alcuna limitazione medico-scientifica relativa a quali pazienti possono e non possono usufruire di questo tipo di assistenza, al di là delle prime somministrazioni che vengono effettuate in ospedale per la safety. È un problema organizzativo e molte volte si devono fare delle scelte”.

Secondo la senatrice Minasi, “oggi il nostro Ssn è di fronte a un bivio cruciale: o lasciare le cose come stanno e questo provocherebbe un’implosione dell’offerta di salute sul territorio, oppure cercare di cambiare. Sono sfide da affrontare con coraggio ma penso sia arrivato il momento di farlo, cambiando i modelli organizzativi. Per chi gestisce la cosa pubblica la sfida della sanità è la più complicata visto come è oggi il nostro Ssn, ma di fronte alla lotta ai tumori come politici abbiamo una responsabilità forte. Questa malattia colpisce le persone anziane, che hanno un’aspettativa di vita più lunga, eppure questo pone oggi un problema di gestione di soggetti già fragili perché già affetti da altre patologie. Credo che oggi abbiamo le basi di partenza grazie al PNRR, grazie al DM77, per poter parlare di medicina di prossimità, attivando in maniera adeguata queste case di comunità e prevedendo anche la parte di oncologia. E poi ovviamente l’assistenza domiciliare: io 20 anni fa facevo l’assessore alle politiche sociali e parlavo di domiciliare integrata perché già allora aveva fatto segnare un risparmio altissimo per il Ssn: un paziente curato in ospedale equivaleva allora al costo di 10 assistenze domiciliari integrate. Questo è un risparmio anche sociale, in primis per i caregiver, quando i caregiver ci sono, perché spesso i figli lavorano lontano e bisogna dar seguito in modo serio e strutturale a questi bisogni, per non lavorare solo sull’emergenza ma dando risposte solide che riorganizzino il sistema. E questo, ne sono convinta, porterà anche grandi risparmi”.

Parlando sempre di risparmi, Petruzzelli ha aggiunto che “c’è una valutazione costo-valore che dobbiamo fare, perché se continuiamo a parlare di costi la sanità la chiudiamo domattina. Se parliamo di valore, scopriremo che abbattere i costi indiretti è uno straordinario investimento. E’ un discorso complesso dal quale però dobbiamo passare, contro le resistenze che ci sono ovunque ma che vanno abbattute in nome di un cambiamento che tutti vogliamo. E dobbiamo arrivarci tutti insieme con i clinici, le istituzioni, la politica, le società scientifiche e le aziende farmaceutiche”.

Per chiudere con degli auspici, lo stesso Petruzzelli ha indicato la priorità nel “selezionare semplicemente esempi che hanno funzionato, applicandoli in altre realtà. Perché in alcuni casi, lo spostamento dell’assistenza sul territorio ha liberato uno spropositato slot per le cure in acuto”. Petrucci ha fatto notare come “abbiamo ancora pazienti che vengono una volta al mese a ritirare i farmaci, ma il Covid ci ha insegnato la possibilità di distribuirli a domicilio, cosa che ora non ci è più concessa. E occorre affrontare le problematiche amministrative: trascorriamo molto tempo a compilare schede di terapia togliendo tempo di cura ai pazienti. Infine, sicuramente nei centri di ematologia devono venire solo i pazienti che hanno bisogno veramente degli ematologi, gli altri possiamo efficacemente spostarli sul territorio”.

La senatrice Minasi ha infine evidenziato che “il nostro Ssn in campo ematologico non è certo da buttare, abbiamo tante eccellenze, è tutto una questione di riorganizzazione dei modelli e credo che oggi abbiamo tutti gli strumenti e le basi da cui partire, un ministro competente, un piano oncologico che mette al centro la persona e parla di assistenza integrata. Ma ci vuole anche un cambio culturale nel considerare la figura dei pazienti, tanto è vero che abbiamo presentato un disegno di legge, sperando che passi in commissione, secondo cui le associazioni dei pazienti devono essere all’interno di tutti i tavoli decisionali in sanità, perché bisogna confrontarsi con chi la malattia la vive sulle proprie spalle. Lo fanno in tutte le altre parti del mondo, perché non avviene la stessa cosa da noi?”.

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