Siamo ormai arrivati ai massimi storici con 12.000 minuscole particelle di 17 tipi diversi di microplastica intrappolate in un litro di ghiaccio marino. A lanciare l’allarme è un gruppo di ricercatori dell’Istituto Alfred Wegener (Awi), Helmholtz Center for Polar and Marine Research che ha analizzato i campioni prelevati da cinque regioni del mar glaciale Artico riscontrando quantità di microplastiche di molto superiori al passato.
Le microplastiche trovate
Pubblicato sulla rivista Nature Communications, lo studio indica le possibili fonti di inquinamento fra cui ci sono sei tipi di materiali che hanno rappresentato circa la metà di tutte le particelle microplastiche rilevate: polietilene e polipropilene (usati per imballaggi), vernici (delle navi), nylon (delle reti da pesca), poliestere e acetato di cellulosa (principalmente utilizzato nella produzione di filtri per sigarette).
Queste microplastiche avrebbero origine dall’enorme accumulo di spazzatura galleggiante nell’Oceano Pacifico, la cosiddetta “isola di plastica”, da vernice e nylon provenienti rispettivamente delle navi e dalle reti per la pesca in mari vicini e poco profondi della Siberia, dal progressivo deterioramento di pezzi di plastica più grandi, dal riciclo di tessuti sintetici o dall’abrasione di pneumatici di automobili, che galleggiano nell’aria come polvere e poi sono trasportati nell’oceano dal vento oppure attraverso le reti fognarie.
“Le particelle microplastiche fluttuanti sono spesso colonizzate da batteri e alghe, che le rendono via via più pesanti e le fa scivolare verso il fondo marino molto più velocemente”, spiega la biologa dell’Awi e coautrice dello studio Melanie Bergmann indicando che nello stretto di Fram (tra le isole Svalbard e la Groenlandia) “recentemente abbiamo registrato concentrazioni di microplastiche fino a 6.500 particelle per chilogrammo nel fondo marino, valori estremamente elevati”.