Le donne che si prestano alla pratica dell’utero in affitto sarebbero condizionate da costrizioni economiche, anche quando teoricamente si tratta di un gesto volontario. Ad affermarlo è Lorenzo D’Avack, presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, durante un convegno su ‘bioetica e pediatria’.
Il parere dell’esperto
“L’autodeterminazione della donna prevede la possibilità di dire sì o no, senza pressioni economiche o sociali – ha sottolineato D’Avack – e questo è una scambio che probabilmente rifiuterebbero se fossero nelle condizioni di farlo. Nessuna trasparenza ed equità possono essere garantite. C’è il rischio che si venga a creare una classe di venditori poveri e acquirenti ricchi”. Anche nel caso in cui l’utero in affitto è in teoria offerto volontariamente c’è il rischio che ci sia una forma mascherata di pagamento.
“Il Cnb si è preso il compito di stabilire se ci possa essere differenza tra surrogata con profitto o no – ha affermato D’Avack – personalmente penso che la discussione deve coinvolgere anche una terza persona, c’è una terza persona in gioco, colui che nasce. Questa differenza è stata fatta, ma potrei aggiungere che ci sono molti stati che apparentemente fanno differenza ma poi prevedono dei rimborsi così rilevanti che il profitto è mascherato. Di pratiche oblative ce ne sono poche”. Secondo il presidente del Cnb è comunque difficile punire chi va all’estero. “La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sanzionato la Francia, e poi l’Italia, per aver tolto il figlio a coppie che hanno usato la maternità surrogata, perché si punirebbe anche il bambino. Bisognerebbe trovare delle sanzioni che non coinvolgano il minore”.