Incontinenza urinaria: botox una o due volte all’anno per risolvere

Enrico Finazzi Agrò Prof. di Urologia all'Università di Roma Tor Vergata e Presidente della Società italiana di Urodinamica
Enrico Finazzi Agrò
Prof. di Urologia all’Università di Roma Tor Vergata e Presidente della Società italiana di Urodinamica

L’incontinenza urinaria è tra le 5 patologie più costose (e diffuse) al mondo. Ne soffre un numero compreso tra il 20 e il 30 per cento di tutte le donne italiane e tra il 5 e il 10% degli uomini. Sono i numeri, con molti zeri, dell’incontinenza urinaria, una patologia per la quale, nelle sue diverse forme, si prova vergogna e imbarazzo e per questo molto spesso chi ne soffre non va dal medico. persino con la convinzione che, in particolare le donne più avanti con gli anni, in fondo faccia parte degli “acciacchi” dovuti all’età.

Insomma, un problema sanitario e sociale di enormi dimensioni che registra molto “sommerso” non diagnosticato e che invece potrebbe essere aggredito e risolto con grande successo. Ne abbiamo parlato con Enrico Finazzi Agrò, professore di Urologia all’Università di Roma Tor Vergata e Presidente della Società italiana di Urodinamica, a margine del Congresso nazionale SIUD che si è svolto a Perugia dal 23 al 25 giugno scorso con la partecipazione di oltre 550 professionisti provenienti da tutta Italia. L’incontinenza dunque registra numeri molto elevati, sia d’incidenza sia dal punto di vista economico, per il sistema sanitario e per il cittadino che ne soffre.

Professore, cominciamo da qualche numero… sappiamo l’incontinenza urinaria è una patologia sottostimata? Può darci qualche ragguaglio numerico nel nostro Paese?
In Italia si stimano dai 3 ai 5 milioni di persone che soffrono di incontinenza e da studi internazionali l’incidenza sulle donne, in qualsiasi fascia di età, è del 20/30 per cento. Per fare un confronto l’incidenza del Diabete, malattia ritenuta molto diffusa, si attesta intorno al 5%, ossia 4-6 volte di meno…

Molte persone hanno timori e vergogna a parlarne.  Ma su queste dinamiche comunicative le maggiori Società scientifiche si impegnano con campagne di comunicazione ad hoc. Con quale esito? E che ruolo potrebbe giocare il mondo istituzionale per questo problema?
Ogni anno celebriamo alla fine di giugno la settimana mondiale dell’incontinenza e nello stesso periodo in Italia, per iniziativa della FINCOPP, la Federazione italiana incontinenti, viene celebrata dal 2006 una giornata nazionale dedicata alla prevenzione e alla terapia dell’incontinenza. Quello dell’incontinenza urinaria è veramente un mondo nascosto. Moltissime persone che ne soffrono non si rivolgono al medico e questo è un problema legato anche ad aspetti culturali. Molte donne infatti, soprattutto anziane, pensano che il problema sia connesso all’età, una cosa quasi fisiologica, mentre basterebbe una breve valutazione e delle semplici terapie per risolvere o migliorare moltissimo il problema. In parte, però, c’è anche una carenza di informazione sia da parte del mondo medico scientifico sia delle istituzioni.

E questo, da un lato ha a che fare col fatto che l’incontinenza è una condizione che non piace a giornali e riviste perché ritenuta imbarazzante, ma anche perché per fare campagne informative servono anche fondi. In questo momento è attivo un gruppo di lavoro presso il Ministero della Salute che tra i vari compiti sta anche valutando quali possano essere le iniziative di comunicazione da fornire ai cittadini. Da parte nostra, come SIUD abbiamo lanciato da pochissimi mesi un portale dedicato che si chiama www.curaincontinenza.it, dove i cittadini possono trovare moltissime informazioni sull’incontinenza e soprattutto dove è possibile accedere a una sorta di test di autodiagnosi attraverso cui capire se e che tipo di incontinenza si ha. Non manca naturalmente un link che può indirizzare il cittadino al centro più vicino a casa per avere una diagnosi corretta e, possibilmente, risolvere il problema.

Molti pensano che l’incontinenza sia prevalentemente un problema femminile…
Non è assolutamente un problema solo femminile. E’ prevalentemente femminile ma nell’uomo, soprattutto in età più avanzata, l’incontinenza esiste ed è un problema. Si arriva intorno al 5/10% di incidenza, generalmente nel paziente anziano e fragile, con comorbidità e non autosufficiente. Esiste poi una categoria particolare che rischia qualcosa in più e sono coloro i quali sono sottoposti ad alcune tipologie di interventi chirurgici per tumore prostatico. Un piccolo rischio di incontinenza iatrogena la cui incidenza oscilla tra il 5 e il 10% di tutti gli operati ma è un numero molto approssimativo. Non facciamo però confusione poiché stiamo parlando di interventi per tumore. Nella tradizionale chirurgia disostruttiva prostatica non si ha questo tipo di rischio.

Quanto costa questa patologia al sistema sanitario e cosa è possibile fare in termini di prevenzione o miglioramento delle terapie?
E’ certamente molto costosa proprio in virtù dei numeri che esprime. Si stima che sia tra le 5 patologie più costose a livello mondiale. In Italia ogni anno in Italia spendiamo circa 400 milioni di euro soltanto per assorbenti e pannoloni. Ma noi abbiamo anche il paradosso, tutto italiano, per cui il Servizio sanitario nazionale rimborsa gli assorbenti e non i farmaci per l’incontinenza…

La prevenzione è certamente fondamentale come la diagnosi precoce. A livello ginecologico e ostetrico si sta facendo molto in occasione del parto con accorgimenti ad hoc ma anche con ginnastica e riabilitazione del pavimento pelvico, prima e dopo il parto, per rinforzare i meccanismi di continenza della donna.

E’ possibile migliorare i servizi, anche dal punto di vista dei costi, migliorando l’offerta sul territorio. Al tavolo ministeriale stiamo ipotizzando all’individuazione e messa in rete dei centri per l’incontinenza in tutte le regioni. Non pensiamo alla costruzione di nuove strutture ma alla riorganizzazione in rete di quelle esistenti, evitando dispersioni di tempo e soldi sia da parte del paziente sia da parte del sistema sanitario. Questo modello, al momento già previsto in Piemonte, potrebbe consentire una razionalizzazione delle spese, dei servizi e un miglioramento dell’efficienza.

Oggi il Servizio sanitario nazionale rende disponibili trattamenti molto efficaci con sostanze, come per esempio la tossina botulinica, che nell’immaginario collettivo è legata alla medicina estetica. Quali vantaggi offre nell’incontinenza, a chi è preferibilmente indirizzato e come viene somministrata?
Sono trattamenti relativamente nuovi poiché noi utilizziamo la tossina botulinica da circa 15 anni. Molto lento è stato il riconoscimento e il conseguimento della rimborsabilità del trattamento da parte del SSN con una precisa indicazione in questo settore dell’urologia. Il trattamento si rivolge a persone con un problema d’incontinenza da urgenza spesso secondaria ad iperattività detrusoriale, che vuol dire contrazioni involontarie del muscolo vescicale (detrusore), che determina la necessità e l’urgenza di dover correre improvvisamente al bagno. Queste persone possono essere affette sia da un’incontinenza idiopatica, ossia senza causa evidente, sia neurologica, derivante da un problema patologico preesistente come, per esempio, la sclerosi multipla o lesioni midollari. Per tutte queste persone c’è un’indicazione codificata.

Il trattamento è molto semplice: si esegue un’infiltrazione per via endoscopica nella parete vescicale, mediante cistoscopia, con dosaggi stabiliti di tossina botulinica di tipo A, che consente, parafrasando l’immagine della medicina estetica, di compiere un vero e proprio maquillage della vescica dal punto di vista, però, funzionale.

La prestazione può essere erogata in sede ambulatoriale, in day hospital o addirittura con un ricovero a seconda del paziente e dell’organizzazione della singola regione. In ogni caso il trattamento è mininvasivo e potenzialmente il paziente può tornare a casa dopo poche ore. Non ha particolari rischi ed ha un’efficacia molto elevata, intorno al 90%. La durata di azione attesa è di circa 6 mesi per la vescica idiopatica e di 9/10 mesi per la neurologica, che ha dosaggi più elevati. Il che si traduce in un trattamento da fare una o massimo due volte l’anno, una frequenza assolutamente accettabile soprattutto in considerazione del fatto che riesce a risolvere alla radice un problema cambiando radicalmente la qualità di vita della persone che ne soffrono.

Di Corrado De Rossi Re

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