(Reuters Health) – La chiusura chirurgica del forame ovale pervio (PFO) diminuisce il già basso rischio di ictus ricorrenti, ma non influenza complessivamente altri eventi cardiovascolari come attacchi ischemici transitori e morte. Lo dimostra uno studio americano pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology. “Quando si discute con il paziente sul trattamento del PFO, si deve tener conto del fatto che la chiusura chirurgica potrebbe essere una scelta ottimale in alcune persone – ha dichiarato alla Reuters Health David M. Kent dellaUniversity School of Medicine di Boston – ma i pazienti dovrebbero essere ben informati sull’incertezza evidenziata dai trials clinici sulla capacità dell’intervento di prevenire eventi cardiovascolari a lungo termine”.
La metanalisi
Gli autori dello studio hanno preso in considerazione i dati di tre precedenti sperimentazioni cliniche (CLOSURE I, RESPECT, e PC), che non sono riuscite a dimostrare una differenza di efficacia sull’ictus improvviso e senza cause apparenti tra l’intervento di chiusura del forame ovale pervio e il trattamento farmacologico. Kent e colleghi hanno eseguito una metanalisi dei singoli dati provenienti da 2.303 pazienti. Complessivamente, la quota di ictus è stata di 0,98 ogni 100 persone l’anno, mentre se si consideravano eventi cardiovascolari nel loro complesso (ictus, attacchi ischemici transitori e morte) la quota saliva a 1,8 ogni 100 persone l’anno. La chiusura del forame ovale pervio, dunque, non avrebbe avuto effetti significativi quando si consideravano tutti e tre gli eventi cardiovascolari e quando i dati non erano ‘aggiustati’ nelle variabili. Ma la quota era significativamente ridotta, del 32%, quando l’analisi era ‘aggiustata’. Per quanto riguarda, invece, la protezione da ictus ricorrenti, lo studio ha dimostrato che la chiusura del PFO, associata a terapia farmacologica, era più efficace del solo trattamento con medicinali, con una riduzione degli eventi del 42% in entrambe le analisi, con dati presi come riportati e con i dati aggiustati delle variabili. Il rischio di fibrillazione atriale è stato di 3,22 volte più alto tra i pazienti operati, anche se questo rischio era meno elevato tra i pazienti nei quali veniva impiantato il disco invece che l’ombrellino.
Quando intervenire?
Secondo Kent, “per decidere se il paziente può effettivamente beneficiare dell’intervento di chiusura del PFO bisogna basarsi sulla condizione clinica della persona e su valutazioni individuali, da discutere caso per caso. In generale – ha sottolineato – il rischio di soffrire di ictus ricorrenti con la sola terapia farmacologica è basso nei pazienti con una basso profilo di rischio cardiovascolare, come quelli inclusi nei trials clinici considerati. Il rischio comunque sembrerebbe leggermente inferiore a seguito dell’intervento di chiusura del PFO”.
“I dispositivi utilizzati per la chiusura del forame ovale pervio, negli studi considerati, non sono disponibili negli Stati Uniti e i risultati con altri dispositivi potrebbero essere diversi”, ha spiegato Kent. “La chiusura non elimina comunque il bisogno della terapia a base di farmaci antitrombotici”, ha concluso l’esperto americano.
Secondo Mikael Dellborg del Sahlgrenska University Hospital di Goteborg, in Svezia, i risultati della metanalisi andrebbero presi con cautela. “I tre trials che sono stati fatti per confrontare la chiusura del PFO con la terapia farmacologica non sono molto utili, dal momento che considerano un ridotto numero di casi, considerando i pazienti che non sono stati seguiti nel follow-up e quelli che non hanno dato il consenso. Se si fa uno studio clinico bisogna farlo bene e non perdere il contatto con i pazienti che vi partecipano. Gli studi sulla chiusura del PFO, in questo hanno fallito. Per cui non sappiamo ancora con certezza quale sia il trattamento più efficace”.
“Come prima scelta c’è la terapia con farmaci antiaggreganti piastrinici e il trattamento di fattori di rischio – ha dichiarato Dellborg – In casi selezionali potrebbe essere valutata la chiusura del PFO. Di tutti i pazienti, questi sono però circa il 10%. Se la chiusura sia effettivamente un trattamento indicato non è chiaro. In effetti sembrerebbe un trattamento sicuro a lungo termine e dovrebbe anche determinare un miglioramento della qualità di vita”.
Fonte: J Am Coll Cardiol 2016
Will Boggs MD
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)