Soltanto una minima parte dell’aumento, talvolta enorme, del prezzo dei farmaci oncologici innovativi è legato all’effettivo miglioramento della salute. Ad affermarlo è Giuseppe Traversa, del Comitato scientifico dell’Istituto superiore di Sanità, durante l’assemblea della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso).
“Mettendo infatti in correlazione il prezzo con il miglioramento dell’esito – spiega Traversa – si scopre che solo una minima porzione di questo, pari al 13-16% è giustificata dall’entità del miglioramento in termini di salute”. E il problema è che, come denunciato a febbraio dal New York Times, “non si riescono a controllare neppure i prezzi dei medicinali a brevetto scaduto, che anzi in alcuni casi subiscono incrementi enormi”.
Le vie di uscita adottate da altri Paesi possono essere quella del prezzo per QALY, acronimo che sta per “Quality Adjusted Life Years”, unità di misura degli incrementi di aspettativa di vita connessi agli interventi sanitari. Nel qual caso bisognerebbe valutare il vantaggio anche in termini di risparmio per altre voci di spesa assistenziali.
“Questo presuppone voler adottare la politica del ‘no, grazie’ quando si deve pagare un prodotto nuovo ma sovrapponibile a uno già presente sul mercato ma meno costoso”, afferma Traversa. “Occorre definire qual è il contribuito aggiuntivo che possa far accettare il maggior prezzo: ad esempio se per un antitumorale devono essere accettabili 3 o 6 mesi di sopravvivenza”.