(Reuters Health) – Sebbene i farmaci di precisione oggi vengano approvati più velocemente, sulla base di studi clinici più piccoli, persiste un aspetto che, in futuro, potrebbe rallentarne lo sviluppo: la mancanza di dati sulle diversità genetiche tra diverse etnie. Un ritardo che si esprimerebbe in modo particolare sul passaggio dalla ricerca alla pratica clinica. A fare luce su questo problema sono stati due gruppi di ricercatori, ce cui rispettive ricerche sono state pubblicate da Health Affairs.
Il primo studio
Nel primo studio, Damian Hine e colleghi, dell’Università del Queensland, in Australia, e hanno valutato le caratteristiche dei trial clinici, l’uso di programmi accelerati e i tempi di sviluppo e approvazione di tutti i farmaci, di precisione e non, approvati dalla FDA americana da gennaio 2013 a metà 2017.I farmaci di precisione rappresentavano il 22%, 33 su 151 approvati, delle nuove terapie che avevano avuto l’ok dall’ente regolatorio americano. Rispetto ai medicinali “tradizionali”, quelli di precisione avevano avuto approvazioni più rapide, con il 48%, rispetto al 19% dei farmaci non di precisione, che aveva ricevuto una cosiddetta designazione cosiddetta breakthrough, il 30% contro il 13% che ha avuto un’approvazione accelerata, il 55% contro il 34% che ha avuto una designazione fast-track e l’85% contro il 48% ha ha avuto una revisione prioritaria.
Tempi più brevi
Queste designazioni hanno probabilmente contribuito a tempi di sviluppo e revisione più brevi, in media, di 1,7 anni per i medicinali di precisione rispetto a quelli non di precisione, che impiegano 7,5 anni per avere l’ok o essere rivisti contro i 5,8 anni dei primi. Inoltre, i farmaci di precisione sono stati approvati sulla base di una media di risultati da uno studio, rispetto a due trial per i farmaci non di precisione, con un numero ridotto di partecipanti, 305 contro 584, in media. Infine, i trials sulla medicina di precisione avevano una minore probabilità di essere randomizzati, di essere condotti in cieco o di essere paragonati ad altre terapie o a placebo. “Questo processo sembra funzionare bene – spiega Hine -. Tuttavia il post-marketing presenta ancora dei punti interrogativi, perché la tempestività pre-commercializzazione non è stata ancora pienamente testata dopo l’arrivo sul mercato”. In particolare, “l’efficacia e la sicurezza restano una preoccupazione”, ha spiegato.
Il secondo studio
Nel secondo studio, un gruppo di ricercatori coordinato da Latrice Landry, della Harvard Medical School di Cambridge, in Massachusetts, ha esaminato le popolazioni incluse in studi di genomica i cui dati sono stati raccolti nei database Wide Association Study Catalog e nel Genotype and Phenotypes. In entrambi i database, studi su popolazioni di origine africana, dell’America latina e dell’Asia erano molto meno frequenti rispetto a studi sulle popolazioni europee. Inoltre, “è stato interessante scoprire che il 21% degli studi nei database esaminati non documentava l’origine delle popolazioni in studio”, ha sottolineato l’autrice. Questo problema è “risolvibile educando i ricercatori sull’importanza di includere questo aspetto nelle presentazioni”.
Fonte: Health Affairs
Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)