Continua il processo di implementazione del DM77 per la realizzazione di un’assistenza territoriale davvero efficace e incisiva. Per perfezionare l’arma, è però importante fare un bilancio delle evidenze emerse, dei risultati raggiunti e delle sfide ancora aperte in questo prima anno di lavoro. All’ultima puntata di Sanitalk, il punto con Paolo Cavagnaro, direttore generale Asl 5 Liguria; Assunta De Luca, direttore sanitario Asl Toscana Sud Est; Pietro Manzi, direttore sanitario Ao Santa Maria di Terni; Paolo Petralia, Dg Asl 4 Liguria e vicepresidente nazionale vicario Fiaso.
Il Decreto Ministeriale 77/2022 (DM77) ha introdotto una riorganizzazione significativa dell’assistenza territoriale in Italia, promuovendo un modello di sanità più integrato e vicino ai cittadini. Mira, in particolare, a migliorare l’accesso alle cure e rafforzare la continuità assistenziale tra ospedale e territorio. Mentre proseguono i lavori per l’implementazione di questa nuovo modello, diventa importante fare valutare i progressi raggiunti e le sfide ancora aperte. A questo primo bilancio è stata dedicata l’ultima puntata di SaniTalk, promossa da Sics con il contributo incondizionatamente di Novartis, e condotta da Corrado De Rossi Re (Direttore di Sanità Informazione). Focus, in particolare, su tre Regioni (Liguria, Toscana e Umbria), grazie alle esperienze dirette degli ospiti della puntata: Paolo Cavagnaro, direttore generale Asl 5 Liguria; Assunta De Luca, direttore sanitario Asl Toscana Sud Est; Pietro Manzi, direttore sanitario Ao Santa Maria di Terni; Paolo Petralia, Dg Asl 4 Liguria e vicepresidente nazionale vicario Fiaso.
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Da sottolineare, anzitutto, come l’impegno richiesto alle Regioni e alle Asl per la messa a terra del DM77 sia stato di due tipi: strutturale in una prima fase – per realizzare fisicamente le Centrali operative territoriale (COT), le Case di Comunità (CdC) e gli Ospedali di Comunità (OdC) – e organizzativo poi. “Le scadenze così contingentate, per ottenere i finanziamenti europei, hanno messo a dura prova le aziende, impegnando tantissime risorse umane, soprattutto amministrative ma non solo. Laddove c’erano spazi da ristrutturare, è stato necessario anche spostare i servizi e ricollocarli, e questo ha richiesto uno sforzo anche ai professionisti e ai cittadini”, ha spiegato Paolo Cavagnaro.
Sul fronte organizzativo, il Dg ha raccontato che la Asl 5 Liguria è stata coinvolta, già dal 2022, nelle prime due sperimentazioni sugli OdC. “Il bilancio è complessivamente positivo, ma ci siamo, ad esempio, che i ricoveri attivati dai mmg, che inviano i loro assistiti dal domicilio all’OdC, occupano al massimo il 25% dei posti letto disponibile. Il resto dei ricoveri è riferito alle dimissioni protette dall’ospedale. Questo indica che la maggior parte dei ricoverati negli OdC saranno persone con un quadro clinico più complesso rispetto a quelli inviati dai mmg. Non tenere conto di questo dato, significa rischiare un utilizzo inefficiente degli OdC e un’assistenza non adatta ai bisogni dei pazienti”.
Grazie a un Master all’Università di Genova, la Liguria ha già messo in pista anche la figura degli infermieri di famiglia e di comunità. Per Cavagnaro il nodo più critico che resta da sciogliere è quello dei mmg e della presenza nelle CdC: “Se la questione non viene affrontata nell’ambito del contratto nazionale, sarà difficile farlo con un Air o addirittura con un accordo aziendale. Anche perché quello della medicina generale è un tema complesso su più fronti: abbiamo difficoltà a reclutare medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e medici di Continuità assistenziale, che però sono un tassello fondamentale della sanità territoriale e un punto di riferimento per i cittadini. È importante fare una riflessione allargata, oltre che veloce, sulla medicina generale e farla nell’ambito del nuovo contratto per la medicina generale”, ha ribadito Cavagnaro, per il quale è fondamentale anche implementare la rete delle cure palliative e la sanità di iniziativa, perché “o si incide sulle cronicità e l’appropriatezza in modo efficace o le liste d’attesa non si ridurranno mai”.
Il Dm 77, secondo l’esperienza di Assunta De Luca, “ha messo ordine in esperienze che alcune Regioni, come la Toscana, avevano già iniziato a sperimentare”. La Toscana, ha riferito il DS dell’Asl Toscana Sud Est, “ha lavorato molto per garantire la continuità assistenziale ospedale-territorio e territorio-ospedale”. Lo ha fatto “già da anni con le Acot, le Agenzie Continuità Ospedale Territorio per la presa in carico dei bisogni del paziente in dimissione”.
In tutta la Regione sono ora operative le COT distinte, con delibera regionale 1508, in Hub e Spoke, le prime zonali, le seconde aziendali. “Ora stiamo lavorando a riempire sempre più di contenuti queste COT. Abbiamo iniziato definendo un’interfaccia con le CdC e costruendo, insieme agli ospedali e ai servizi territoriali all’interno della Asl, percorsi di cura e setting”. Tra le sfide, la realizzazione di una efficace comunicazione tra i professionisti e tra le COT e le altre centrali operative, “ad esempio quella del numero 116117 e il SEUS, il servizio di emergenza e urgenza sociale, perché occorre creare un continuum di presa in carico della ‘persona’ più ancora che del ‘paziente’”.
Un lavoro fondamentale, per De Luca, va fatto con gli operatori, “ad ogni livello”, per “far comprendere loro questo cambiamento di approccio e di modo di erogare assistenza, nonché per implementare un dialogo in ottica multidisciplinare e multiprofessionale utilizzando, a questo scopo, anche la telemedicina e strumenti come i Ptda”. Pdta che, ha sottolineato la Ds dell’Ausl Toscana Sud Est, “vanno rivisti attraverso il potenziamento dell’activity based management, il cui scopo è proprio quello di verificare se gli attuali percorsi sono ancora validi, qual è il loro impatto sulla vita dei pazienti e della famiglia e quali ricadute hanno avuto dal punto di vista economico”. Una sanità che per realizzarsi, però, ha bisogno di un efficiente big data management. In questo senso, De Luca ha riferito come la Asl Toscana Sud Est abbia analizzato i dati riferiti a una coorte di pazienti con accessi ripetuti in PS e, sulla base di essi, stia rivedendo i percorsi di presa in carico dei pazienti con scompenso.
Il DS della Asl Toscana Sud Est ha infine sottolineato la necessità di non trascurare l’educazione sanitaria delle persone, “perché le liste d’attesa si governano anche facendo comprendere ai cittadini come certe prestazioni devono essere erogate e nell’ambito di quali percorsi”.
Anche in Umbria si lavora sul DM77. “Con alcune difficoltà – ha riferito Pietro Manzi – legate anche alla necessità di far fronte a una domanda di salute diversa da quella prevista, anche per via della mobilità passiva che, per esempio, l’Ao di Terni deve soddisfare dalle vicine province laziali di Rieti e Viterbo”. All’Ao di Terni, che è un dea di II livello, i soli accessi al PS sono passati, in un anno, da 48 a 52mila. “Un iperafflusso che, a Terni come da altre parti, congestionare l’ospedale intero, perché quello che passa per il PS in parte arriva ai reparti. In questo contesto il rapporto con il territorio diventa fondamentale, sia come filtro in entrata che per offrire risposte assistenziali in uscita”.
Per far fronte alla situazione, l’Ao di Terni ha sviluppato nell’ultimo anno due progetti. Il primo ha visto l’ingresso dei mmg nei PS allo scopo di gestire i codici verdi e i codici bianchi, “esperienza che ha riscosso soddisfazione sia tra i professionisti che tra i pazienti”. La seconda soluzione si basa su un accordo con tre strutture territoriali – l’ospedale di Narni, l’Ospedale di Comunità di Amelia e una struttura di riabilitazione a Terni – che ha permesso di “velocizzare le dimissioni ma anche qualificarle”. Un’organizzazione che però, spiega il DS dell’Ao di Terni, richiede “capacità di comunicazione tra professionisti e condivisione delle informazioni per il corretto inquadramento del paziente”.
Un tema, quello della circolazione delle informazioni, su cui Manzi ha insistito: “L’ospedale – ha detto – è in gran parte, ormai, un ospedale digitale e sono sempre più numerosi i sistemi che producono informazioni sul paziente, dal laboratorio di analisi, alla radiologia, dal servizio trasfusionale a quello di diagnostica per immagini. Un insieme di dati che finiscono nella cartella clinica e che dovrebbe transitare nel FSE, a cui il PNRR dedica, peraltro, un importante stanziamento”. Tuttavia, ha lamentato Manzi, “oggi buona parte di queste informazioni non vanno a finire in un unico contenitore e questo significa negare alle COT e ai medici del territorio uno strumento importante sia per inquadrare meglio il paziente ma anche evitare la duplicazione di prestazioni”. Gli ostacoli allo sviluppo di questo sistema sono, per Manzi, “in parte tecnologici, in parte organizzativi, ma anche legati al rispetto della riservatezza del dato”, che resta però un elemento imprescindibile per una sanità efficiente ed efficace.
A tirare le fila delle riflessioni, anche sulla base del suo punto di osservazione nazionale attraverso la Fiaso, Paolo Petralia ha posto l’accendo sui tre elementi base della riforma in atto: “Anzitutto la consapevolezza che il nostro Paese è secondo per numero di anziani e questo genera non solo una maggiore domanda di cure ma anche una minore disponibilità di forza lavoro e di capacità produttiva. Il secondo elemento è quello strutturale, con il DM77 che disegna l’architrave a livello di contenitori. Infine c’è il livello organizzativo, che da una parte vuole dire modelli operativi e gestionali, ma d’altra apre anche il fronte delle regole di ingaggio, che devono essere adeguate e omogenee per costruire un modello unitario, rispetto al contesto attuale in cui abbiamo sette contratti diversi; pensiamo solo ai medici: dipendenti e convenzionati, sumaisti e livero professionisti…”. Sul fronte del capitale umano, il vicepresidente vicario di Fiaso si chiede anche se “le modalità stanziali di lavorare siano le migliori per consentire ai professionisti di esplicare la loro funzione o è piuttosto opportuno immaginare ad équipe itineranti e a modalità flessibili anche dal punto di vista dei professionisti, e non solo dei pazienti che si muovono all’interno dei vari setting di diverso livello di intensità di cure?”.
Per Petralia c’è ancora tanto da fare anche sul fronte della maggiore efficienza, “che significa non solo ridurre gli sprechi ma anche e soprattutto migliorare la capacità del sistema di lavorare bene, ricordando che la soluzione non è rincorrere la prestazione”. Il richiamo è all’appropriatezza ma anche “al coraggio di introdurre nuovi percorsi, immaginando anche di applicare un rimborso per processi”. Per il vicepresidente vicario della Fiaso occorre poi prendere consapevolezza del fatto che “l’universalismo del nostro sistema sanitario deve diventare selettivo. Non possiamo pensare di dare tutto, perché non abbiamo la copertura per farlo. Ma questo significa essere capaci di scegliere cosa dare e a chi farlo, secondo un modello di autonomia differenziato che però deve garantire uniformità e accesso equo e in tempi accettabili”.
Necessario per Petralia, infine, l’introduzione di indicatori di esiti “capaci di misurare e indicare le traiettorie di miglioramento da sviluppare, senza rincorrere le classifiche e i confronti tra aziende, piuttosto misurando le performance al proprio interno e trovando le risposte per migliorare nel tempo. Una modalità di valutazione che potrà davvero tradursi in servizi migliori e una maggiore sostenibilità complessiva del sistema sanitario”.
Lucia Conti