(Reuters Health) – La terapia familiare può ritardare la comparsa di disturbi dell’umore nei giovani ad alto rischio di bipolarismo, come rivela uno studio randomizzato pubblicato da JAMA Psychiatry.
“Il disturbo bipolare è associato a problemi significativi nella vita quotidiana, ad esempio se un bambino finisce la scuola o no – ha detto David Miklowitz dell’Università della California di Los Angeles, autore principale dello studio – Sorprendere la malattia precocemente, insegnando ai bambini e alle famiglie come affrontare gli sbalzi d’umore e comunicando in modo più efficace, può contribuire, nel tempo, a un risultato migliore. Quello che facciamo con la terapia familiare è formare bambini, adolescenti e i loro genitori a riconoscere i primi segnali di allarme di un disturbo in arrivo e a intervenire per evitare che si verifichi un episodio completo, per esempio cambiando le loro medicine, adottando cicli di sonno-veglia più regolari, usando capacità comunicative per ridurre lo stress nei conflitti familiari”.
Lo studio
Lo studio clinico randomizzato multisito ha incluso giovani con disturbo depressivo maggiore o disturbo bipolare non specificato, sintomi dell’umore attivi e almeno un parente di primo o secondo grado con disturbo bipolare I o II.
Giovani e genitori sono stati assegnati in modo casuale alla terapia familaire (12 sessioni in quattro mesi di psico-educazione, formazione sulla comunicazione e formazione sulle capacità di risoluzione dei problemi) o cure potenziate (sei sessioni in quattro mesi di famiglia e psico-educazione individuale). La terapia farmacologica era consentita in entrambi i gruppi.
Come riportato da Jama Psychiatry, 127 giovani (età media, 13,2 anni; il 64,6% erano donne) sono stati seguiti ogni 4-6 mesi per una mediana di 98 settimane. Non sono state rilevate differenze tra i gruppi nel tempo al recupero da sintomi di pretrattamento.
I giovani ad alto rischio nel gruppo della terapia familiare hanno avuto intervalli più lunghi dal recupero all’emergenza del successivo disturbo (hazard ratio, 0,55) e dalla randomizzazione al successivo episodio (HR, 0,59) rispetto a quelli in terapia intensiva.
Sebbene la terapia familiare sia stata associata a intervalli più lunghi tra i disturbi depressivi (HR, 0,53), non differiva dalla cura avanzata a episodi maniacali o ipomaniaci, dalle conversioni al disturbo bipolare o dalle traiettorie dei sintomi.
Il team sta inoltre utilizzando la risonanza magnetica funzionale per vedere se la terapia familiare è associata a cambiamenti dell’attività cerebrale e se l’intervento è associato a riduzioni di pensieri e comportamenti suicidari nei bambini ad alto rischio di disturbo bipolare.
Fonte: JAMA Psychiatry
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)