DishBrain e intelligenza organoide: la nuova frontiera del computing biologico

Le nuove forme di intelligenza artificiali e i modelli di analisi che l’adoperano, hanno raggiunto risultati che fino a qualche hanno fa erano impensabili. La loro elevata capacità di apprendimento automatico e di risolvere compiti in maniera organizzata e strutturata, ha permesso di velocizzare e in alcuni casi migliorare, una notevole quantità di processi, con benefici enormi in una miriade di campi diversi.

Tuttavia, ci sono due problematiche che potrebbero portare ad una battuta d’arresto questo progresso dall’aspetto idilliaco e senza conseguenze. Il primo è rappresentato dall’enorme quantità di energia che i sistemi informatici in tutto il mondo utilizzano per far funzionare i grandi server alla base di questi sistemi. Il secondo invece, riguarda la capacità computazionale dei sistemi convenzionali, che sta sempre di più sperimentando la sua incapacità di far fronte alla computazione necessaria per svolgere compiti complessi in tempo reale.

Ma un nuovo approccio, potrebbe risolvere queste due annose problematiche: ovvero la computazione biologica per mezzo di reti neurali biologiche. È infatti noto da tempo che i cervelli umani sono dotati di una capacità di calcolo che è nettamente superiore rispetto i supercomputer odierni. Per fare un esempio, nel 2013 il quarto computer più potente al mondo ha impiegato circa 40 minuti per modellare un secondo dell’1% dell’attività cerebrale di un essere umano. Inoltre il cervello umano a differenza di un computer, nonostante sia più lento nello svolgere calcoli aritmetici, può elaborare con una capacità nettamente superiore informazioni complesse e può eseguire sia l’elaborazione sequenziale che quella parallela, cosa che i computer non possono fare essendo bravi solo nella prima delle due.

In aggiunta, l’apprendimento biologico, utilizza molta meno energia rispetto ai sistemi classici. Ad esempio, il Frontier, il supercomputer più potente del mondo, raggiunge 1,102 exaFlops di capacità di calcolo per secondo e il suo consumo energetico è di 21 megawatt, mentre il cervello umano opera alla stessa potenza stimata di 1 exaFlop e consuma solo 20 watt. Pertanto, il cervello umano opera con un’efficienza energetica che 1 milione di volte migliore, sebbene svolgano compiti molto diversi.

Partendo da questo assunto, gli scienziati della start-up australiana Cortical Lab, in un articolo pubblicato su Neuron, hanno cercato di sfruttare il potenziale computazionale dei neuroni in piastra per creare una forma di intelligenza sintetica biologica detta SBI. Nonostante l’esistenza dei sistemi artificiali in silicio, come le reti neurali artificiali, nessun sistema esistente è stato in grado di replicare la complessità delle reti neurali biologiche. In particolare, la capacità dei neuroni di rappresentare simultaneamente più variabili di stato: un requisito essenziale per ricreare la complessità di una rete neurale naturale.

Per fare ciò, hanno progettato un sistema chiamato DishBrain, letteralemente “cervello in piastra”, con l’intento di colmare questo gap, dimostrando che i neuroni possono interagire con un sistema digitale per svolgere compiti complessi e adattarsi ai cambiamenti del loro ambiente. In questo caso, il compito scelto per testare le capacità di apprendimento delle reti neurali biologiche è stato una simulazione del gioco Pong, un classico videogioco arcade che richiede al “paddle” di colpire una pallina per evitare che esca dal campo da gioco.

Per l’esperimento sono stati utilizzati neuroni umani derivati da cellule staminali pluripotenti indotte (hiPSC). Le hiPSC sono state riprogrammate per differenziarsi in due tipi di neuroni corticali diversi attraverso due metodologie: neuroni maturi a lungo termine e neuroni glutamatergici, fondamentali per la trasmissione eccitatoria. Dopodichè, i neuroni sono stati coltivati sopra i cosiddetti MEA (Multi-Electrode Arrays), che sono dispositivi composti da una griglia di elettrodi utilizzati per monitorare e stimolare elettricamente le reti neuronali. Nel sistema DishBrain, questi elettrodi sono serviti per registrare l’attività elettrica dei neuroni, tracciando i potenziali d’azione prodotti dai neuroni e per stimolarli inviando segnali elettrici che simulano input sensoriali. Il ruolo dei MEA è stato fondamentale poiché fungono da interfaccia tra la rete biologica e il sistema digitale, consentendo ai neuroni di “dialogare” con il software che gestisce l’ambiente simulato.

Come funziona il sistema: molto semplicemente, I neuroni ricevono input sensoriali che segnalano la posizione della pallina sullo schermo. Questi input vengono trasmessi tramite una serie di 8 elettrodi che rappresentano la posizione della pallina nello spazio. La rete neuronale invece, è incaricata di muovere un paddle, colpendo la pallina e cercando di evitare che questa superi il paddle.

Durante il gioco, i neuroni ricevono due tipi di stimoli. I primi sono stati definiti stimoli prevedibili, ovvero quando il paddle colpisce correttamente la pallina, viene inviato un segnale coerente e ripetuto. Questo stimolo funge da rinforzo positivo, segnalando che la risposta neurale è stata corretta. I secondi sono detti stimoli imprevedibili, in cui viene inviato un segnale casuale se la pallina non viene colpita e supera il paddle, interpretato come un feedback negativo. Questo stimolo viene seguito da un reset del gioco, con la pallina che riparte da una posizione casuale.

Questo ciclo di feedback crea un sistema a circuito chiuso, in cui l’attività neurale influenza il comportamento del paddle e, di conseguenza, il feedback che i neuroni ricevono. L’obiettivo è che i neuroni imparino ad evitare stimoli imprevedibili, organizzando la propria attività per massimizzare il successo.

Dopo aver ripetuto questi cicli di gioco per giorni e producendo centinaia di repliche, i dati ottenuti dai ricercatori hanno mostrato che le reti neurali biologiche possono adattarsi e imparare a svolgere compiti in tempo reale. In particolare, Le reti neurali hanno mostrato di poter imparare rapidamente con un apprendimento significativo entro i primi 5 minuti di gioco. I neuroni hanno modificato la loro attività per evitare stimoli imprevedibili e massimizzare quelli prevedibili. Inoltre durante il gioco, le reti neuronali hanno mostrato una maggiore plasticità funzionale, modificando le loro connessioni in risposta ai feedback. Questa plasticità è stata osservata solo nelle condizioni con feedback a circuito chiuso. Infatti è stato confermato ciò che già si era osservato in altri contesti, il ruolo cruciale dei feedback. Senza feedback infatti, i neuroni non hanno mostrato capacità di apprendimento, dimostrando che l’interazione continua tra stimoli e risposte è essenziale per il comportamento orientato agli obiettivi, in sostanza per imparare.

Questo studio ad oggi, tramite il sistema DishBrain, rappresenta il primo e forse l’unico ancora del campo, a studiare le potenzialità future della computazione biologica tramite reti neurali in vitro. Questo approccio apre nuove possibilità per sviluppare piattaforme computazionali ibride, che combinano la flessibilità e la potenza adattiva dei neuroni viventi con la precisione e la velocità dei sistemi digitali.

Infatti già si parla di “intelligenza organoide” (OI) per descrivere un campo emergente che mira a espandere la definizione di biocomputing verso l’OI computing diretto dal cervello, cioè a sfruttare il macchinario autoassemblato delle colture di cellule cerebrali umane 3D (organoidi cerebrali), superiori rispetto alle colture 2D come (quelle utilizzate in questo studio), per memorizzare ed elaborare gli input. Inoltre, queste tecnologie potrebbero trovare applicazione nella ricerca farmacologica, nell’intelligenza artificiale e nello studio delle basi biologiche dell’apprendimento e della memoria oltre che nello studio di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.

di Valentino Ribecco

Source: Neuron; Frontiers in science

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