Quando si parla di digital transformation si pensa immediatamente all’adozione di tecnologie digitali per trasformare servizi e imprese, utilizzando nuove soluzioni digitali invece dei processi tradizionali e aumentando l’efficienza tramite l’automazione, l’innovazione e la creatività.
In realtà questo non basta senza un cambiamento più profondo, che interessa gli aspetti organizzativi e quelli delle relazioni tra le persone. Insomma: una trasformazione culturale, prima che tecnologica.
Si è discusso di questo durante l’ultimo Sanitalk, incontro mensile del video-portale www.sanitask.it edito da Sics Editore con il supporto incondizionato di Alfasigma, dedicato proprio alla trasformazione digitale in sanità e alle sfide che saremo chiamati ad affrontare nei prossimi anni.
Massimo Mangia, esperto di innovazione e digital health, ha invitato ad abbandonare il modo con cui abbiamo pensato finora la sanità: “Continuiamo a intendere l’integrazione ospedale-territorio in senso fisico, come condivisione degli spazi o sportelli fisici per i cittadini – ha affermato – In realtà abbiamo bisogno di mettere in rete i servizi territoriali. Oggi stiamo innestando vecchi modelli su nuove tecnologie, sperando che queste ultime possano innovare i modelli”.
Scorrendo gli obiettivi per la digital transformation del Piano nazionale di ripresa e resilienza, si trovano in effetti termini nuovi per indicare concetti di cui si parla da anni. Barbara Polistena, docente di economia sanitaria a Tor Vergata e responsabile area farmaco economia e statistica medica Crea Sanità, ha ricordato che dovremo “preservare anche in futuro i successi riportati durante la pandemia in termini di digitalizzazione. Prima del Covid il 30% dei medici si diceva contrario a servizi di digitalizzazione e telemedicina. Ora la percentuale è scesa all’8%”. Per l’esperta è fondamentale “ripensare a come i servizi sanitari sono fruiti dai cittadini e dai pazienti, ma anche a come sono erogati dalle aziende sanitarie. È importante mettere al centro le competenze”.
La (scarsa) digitalizzazione degli italiani
Lo sforzo per la trasformazione digitale deve essere collettivo e integrato: è un ecosistema che pervade tanti aspetti della nostra vita quotidiana. “Credo che sia necessario chiedersi se da un punto di vista culturale noi siamo pronti a una digital transformation – si è chiesto Domenico Scibetta, presidente Federsanità Anci veneto e vice presidente nazionale – Se guardiamo i numeri, forse verrebbe di rispondere di no. Solo il 32% degli italiani online utilizza servizi di health government, contro una media europea del 66%. L’App IO è stata scaricata dal 16% dei connazionali e meno di un italiano su 3 possiede lo Spid. Se non si lavora su questo si cerca davvero di vestire di nuovo qualcosa di vetusto”. Per l’esperto, inoltre, prima di parlare di trasformazione digitale si dovrebbe chiarire quali sono i modelli organizzativi che serviranno per monitorare la digital transformation. “Se non vogliamo andare incontro a un fallimento, dobbiamo sviluppare competenze emergenti, non possiamo pensare di usare ciò che già abbiamo”, ha concluso Scibetta.
Giovanni Migliore, Dg Policlinico Bari e vicepresidente Fiaso, ammette che “sta a noi guidare il cambiamento e offrire servizi. Più riusciamo a trasformare il modo di assistere i pazienti in modo integrato e più indurremo la necessità nei pazienti a utilizzare i servizi digitali. È una scommessa, ma io, guardando anche ai passi in avanti compiuti nella gestione a distanza delle patologie croniche, sono ottimista”. Per Migliore è necessario superare la contrapposizione ospedale-territorio e costruire una sanità composta da servizi che ruotino attorno al paziente, indipendentemente da dove questi si trova. “Le tecnologie, da sole, non bastano. Dobbiamo riuscire a standardizzazione il nostro modo di lavorare”.
La sanità? È come il cubo di Rubik
Antonino Trimarchi, responsabile centro studi Card, ha descritto il quadro che abbiamo di fronte come un cubo di Rubik: “Ogni faccia rappresenta un’area sistemica ed è connessa alle altre – ha esemplificato – Per risolvere il cubo è necessario sistemare tutte le facce, non solo una. Questo è ciò che dobbiamo fare con la digitalizzazione”.
Francesco Bisetto, segretario sindacale Anmdo, ha ricordato i nodi principali, che sono tutti sfide di sistema, per l’appunto: “la necessità di definire rapporti di responsabilità, regolamentare meglio i rapporti tra centri hub e spoke, valorizzare anche dal punto di vista economico il lavoro di teleconsulenza e standardizzare i processi sono tra i problemi che restano aperti – ha ripercorso – Adesso abbiamo a disposizione strumenti molto potenti per cercare di affrontarli e risolverli”.
A tutto questo si accompagnano anche rischi per quanto riguarda gli aspetti etici, visto che al momento si tratta di un mondo ancora privo di linee guida omogenee: “In questo momento in Europa non esiste alcuna regolamentazione sull’intelligenza artificiale, sia a scopo terapeutico sia decisionale”, ha ricordato Barbara Meini della Sifo e dell’Azienda Usl Toscana Sud Ovest. Nel Vecchio Mondo, solo la Germania ha approvato l’immissione in commercio di sei terapie digitali. “Come Sifo chiediamo che queste terapie digitali trovino presto una loro regolamentazione, capendo se si tratta di farmaco e dispositivi medici, per esempio”. Il ruolo del farmacista sarà cruciale, sia per la distribuzione sia per l’utilizzo delle terapie digitalizzate sia come supporto per definire percorsi che tutelino i pazienti e i loro dati.
Tutti gli esperti hanno concordato sulla necessità di intervenire sulle competenze dei clinici, prima ancora che sulle abitudini dei pazienti, definendo regole e standard comuni in tutto il territorio nazionale per limitare la frammentazione regionale e garantire a tutti cure sempre più personalizzate e trattamenti gestibili indipendentemente dal luogo fisico in cui si trova il paziente.