Un inferno. Così i pazienti adulti con dermatite atopica grave descrivono la propria vita fatta di prurito, visite mediche, creme, sofferenza e restrizioni sociali. Da sempre considerata esclusivamente una patologia pediatrica, la dermatite atopica può colpire anche l’adulto intorno ai 30 anni e si manifesta con una tipica dermatite eczematosa (pelle arrossata, essudante e desquamante) sulle zone del collo, il décolleté, il retro delle ginocchia, i piedi, ma anche in zone molto visibili come il viso e il cuoio capelluto, le mani e gli avambracci. È accompagnata da prurito intenso, spesso incontrollabile. Soprattutto nei casi gravi, la qualità di vita dei pazienti risulta fortemente compromessa.
Secondo un’indagine condotta dalla società di ricerca Stethos, per conto di Sanofi Genzyme, di cui i è parlato a margine del 92° Congresso Nazionale SIDeMAST in corso a Sorrento, i pazienti adulti con dermatite atopica afferenti ai centri specialistici di dermatologia italiani sono oltre 35.500 e di questi 7.721 presentano la malattia nella sua forma grave. Questo comporta un impatto sociale incredibile in termini di costi e di salute psicologica del paziente.
“Vi sono molte evidenze dell’impatto psicologico ed emotivo della dermatite atopica grave sulla qualità di vita del paziente”, commenta Ketty Peris, Direttore della Unità Operativa Complessa di Dermatologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. “Questo comporta notevoli costi sociali, dovuti soprattutto all’intenso e costante prurito, che incide sui livelli di stress e causa perdita di sonno, con ripercussioni sulla vita privata e quella professionale. Inoltre, le manifestazioni cutanee della malattia impattano anche la sfera relazionale, generando disagio nel contatto con gli altri e un diffuso senso di frustrazione e discriminazione”.
Oltre ai ricorrenti problemi di insonnia dovuti al prurito e all’impatto psicologico ed emotivo, sono diverse le attenzioni e le rinunce che chi convive con la dermatite atopica grave deve mettere in atto nella sua vita quotidiana: in ciò che indossa, nelle sostanze con cui entra in contatto e a cui si espone. In generale, si tratta di una patologia che pone molte limitazioni nella vita di tutti i giorni, con conseguente senso di discriminazione, sfiducia e isolamento. Serve quindi un punto di riferimento, un organo che riesca a indirizzare i pazienti e assisterli quanto più possibile.
“La sensazione prevalente è quella di non essere compresi fino in fondo dai propri famigliari, amici e conoscenti”, spiega Mario Picozza, Presidente dell’Associazione ANDeA – Associazione Nazionale Dermatite Atopica. “L’informazione sulla malattia è scarsa e quando è presente, tratta prevalentemente le forme del bambino oppure riduce la malattia a una semplice irritazione della pelle. Il risultato è che ci si sente isolati. L’obiettivo di ANDeA è proprio quello di arrivare a chi convive con questa malattia debilitante per offrire informazioni corrette, educazione e supporto. Al contempo, vi è necessità di una maggiore sensibilizzazione delle Istituzioni e dell’opinione pubblica sul forte impatto psicologico, sociale ed economico di questa patologia, soprattutto nella forma grave. In ultimo, ma non certo per importanza, come associazione vorremmo portare la causa delle persone con dermatite atopica fino alle istituzioni per far in modo che queste vengano ascoltate e aiutate”.
Lo scenario terapeutico attuale per la cura della dermatite atopica offre soluzioni topiche ed emollienti che intervengono sul prurito e sulla gestione della secchezza cutanea, terapie con costi spesso a carico del paziente. Le terapie sistemiche esistenti, indicate in pazienti gravi che non rispondono ai precedenti trattamenti a livello cutaneo, richiedono, per il profilo di tollerabilità, un’attività di monitoraggio attento e continuativo. Si tratta comunque di uno scenario terapeutico in continua evoluzione che vede affacciarsi sul mercato molecole promettenti e innovative.