(Reuters Health) – Uno studio su veterani statunitensi indica che gli adulti che hanno ricevuto recentemente una diagnosi di demenza o deterioramento cognitivo lieve sono esposti a un rischio aumentato di suicidio.
I ricercatori hanno esaminato i dati relativi a 147.595 veterani di età pari o superiore ai 50 anni con deterioramento cognitivo lieve (n=21.085) o demenza (n=63.255) comparandoli con i dati di una coorte appaiata per propensione, composta da veterani senza alcuna diagnosi al basale.
Dopo un follow-up mediano di 4,2 anni, 138 pazienti con deterioramento cognitivo lieve (0,7%) e 400 pazienti con demenza (0,6%) hanno tentato il suicidio, rispetto ai 253 soggetti del gruppo senza alcuna diagnosi (0,4%).
In un’analisi aggiustata, i pazienti con deterioramento cognitivo lieve (hazard ratio 1,34) e demenza (HR 1,23) avevano probabilità significativamente superiori di tentare il suicidio rispetto alle controparti.
Tuttavia, quando i ricercatori hanno esaminato le tempistiche delle diagnosi, hanno riscontrato che il rischio aumentato di suicidio era significativo solo per i pazienti con una diagnosi recente e non per coloro che al basale avevano già ricevuto una diagnosi.
Secondo i risultati pubblicati su JAMA Psychiatry, il rischio di suicidio era significativamente più elevato per i soggetti con una recente diagnosi di deterioramento cognitivo lieve (HR 1,73) o demenza (HR 1,44).
“È importante che i servizi di supporto post-diagnosi come il miglioramento della disconnessione sociale, gli eventi sociali, la pianificazione di cure avanzate e il trattamento psicologico siano forniti il prima possibile, di modo che gli individui e le loro famiglie non si sentano soli quando ricevono una diagnosi così importante come quella di deterioramento cognitivo lieve o demenza”, conclude l’autrice principale dello studio Amy Byers, professoressa di psichiatria, scienze comportamentali e medicina presso l’Università della California di San Francisco e ricercatrice presso il San Francisco Veterans Affairs Health Care System.
Fonte: JAMA Psychiatry
Lisa Rapaport
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)