(Reuters Health) – Secondo un recente studio olandese, l’ipotensione ortostatica sarebbe associata a un aumento del rischio di demenza di tutti i tipi”L’ipotensione ortostatica è un fenomeno diffuso nella clinica e tra la popolazione in generale. È già note come fattore che aggrava il rischio di malattie cardiovascolari e ictus, ma non era stata ancora studiata in relazione alla demenza”, dicono i ricercatori Frank J. Wolters e M. Arfan Ikram, entrambi dell’Erasmus Medical Centre di Rotterdam.
Lo studio
Wolters, Ikram e colleghi hanno valutato 6.204 uomini e donne (con età media 68,5 al basale) senza una storia di ictus o demenza tra il 1989 e il 1993. Sono stati classificati come sofferenti di ipotensione ortostatica coloro che avevano sperimentato un calo di oltre 20 mm Hg della pressione sanguigna sistolica (SBP) o 10 mm Hg di quella diastolica in tre minuti, alzandosi in piedi da una posizione di riposo. Nel corso di un follow-up medio di 15,3 anni il 19% ha sviluppato una forma di demenza, tra questi, il 79,5% ha ricevuto una diagnosi di Alzheimer e l’8,1% di demenza vascolare.
Dopo l’aggiustamento per diversi fattori, tra cui l’età, il fumo, l’uso di alcol, farmaci e il genotipo APOE, i ricercatori hanno scoperto che l’ipertensione ortostatica era dunque associata a un aumentato rischio di demenza (hazard ratio aggiustato 1.15), simile per entrambi i tipi.
Una maggiore variabilità SBP con cambio posturale è stata anche associata a un aumentato rischio di demenza, indipendentemente dal fatto che i pazienti avessero una diagnosi formale di ipotensione ortostatica.
Gli autori hanno notato che il rischio di demenza era maggiore per quelli con OH che non avevano un aumento compensatorio della frequenza cardiaca. “Abbiamo scoperto che l’ipotensione ortostatica aumenta il rischio di demenza del 15% – evidenziano Wolters e Ikram – È importante sottolineare che questo è stato simile per cali di pressione sintomatici e asintomatici, suggerendo che la valutazione formale è necessaria per diagnosticare ipotensione ortostatica nella clinica e determinare se i pazienti richiedono modifiche nei farmaci”.
Fonte: PLoS Med 2016
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)