(Reuters) – Una variante genetica, presente in circa il 60% delle persone originarie dell’Asia meridionale, sarebbe associata al doppio di rischio di insufficienza polmonare da COVID-19. È quanto ha osservato uno studio pubblicato venerdì scorso su Nature Genetics da un team dell’Università di Oxford, che cerca di far luce sul perché alcune persone sono più suscettibili di altre nei confronti di una malattia più grave e che apre la possibilità a una terapia mirata per l’infezione.
La variante ad alto rischio è stata collegata anche al raddoppio del rischio di morte tra i pazienti di età inferiore ai 60 anni. Una scoperta che potrebbe in parte spiegare l’elevato numero di morti osservate in alcune comunità britanniche e l’alta mortalità causata dal virus in India.
Secondo gli scienziati inglesi, l’aumento dei rischio dipende da un polimorfismo a singolo nucleotide in una regione cosiddetta enhancer che regola l’attività di più geni, incluso LZTFL1, coinvolto nelle risposte virali delle cellule epiteliali. Di conseguenza, la variazione genetica potrebbe inibire la corretta risposta al virus tra le cellule che rivestono le vie aeree e i polmoni, come osservato dagli stessi autori.
LZTFL1, invece, non influisce sul sistema immunitario, per cui, secondo i ricercatori, le persone portatrici della variante dovrebbero rispondere normalmente ai vaccini.
Secondo Raghib Ali, dell’Università di Cambridge, anche dopo aver tenuto conto dei fattori di rischio per il COVID-19 come il fatto di lavorare al pubblico o di vivere in zone densamente popolate, “c’è stato un inspiegabile eccesso del rischio nei sud-asiatici”. E questo studio potrebbe mostrare che “il fatto che questa popolazione ha maggiori probabilità di portare questo gene, aumenta il rischio di morte tra gli infettati”. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per confermare questo osservato, come ha spiegato Simon Biddie, dell’Università di Edimburgo.
Fonte: Nature Genetics
Pushkala Aripaka
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)