COVID-19: i test sierologici sono veramente utili?

(Reuters Health) – “C’è troppa incertezza sui test sierologici per far sì che questi svolgano un ruolo nella gestione della pandemia in questo momento”. A dichiararlo sono Richard Torres e Henry Rinder, della Yale University di New Haven (USA), autori di un editoriale per l’American Journal of Clinical Pathology sull’utilità dei test che rivelano la presenza nel sangue di anticorpi contro il nuovo coronavirus.

Molti esperti sostengono che i test sugli anticorpi SARS-CoV-2 servano a identificare le persone che hanno sviluppato l’immunità e che quindi potrebbero potenzialmente rientrare al lavoro in sicurezza, nonostante il virus continui a circolare.

Secondo Torres e Rinder, la maggior parte dei soggetti ricoverati con infezione da SARS-CoV-2 confermata ha anticorpi IgG rilevabili da 14 a 28 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi.

Non è chiaro, inoltre, se la presenza di questi anticorpi protegga i pazienti, specialmente quelli gravemente malati, mentre circa un terzo degli individui infettati – che ha sviluppato anticorpi durante il ricovero – sembra non avere quelli che neutralizzano il virus.
Infine, la presenza di anticorpi non garantisce che un individuo non rimanga infettivo.

Anche la qualità dei test sierologici potrebbe rappresentare un problema. Sebbene ci sia solo una minima reattività crociata con i quattro coronavirus prevalenti,  per i due autori dell’editoriale sono necessari studi di validazione per eliminare il rischio che alcuni saggi possano evidenziare un’esposizione al comune raffreddore.

Infine, non si sa praticamente nulla sui modelli di risposta anticorpale a SARS-CoV-2 in individui asintomatici o sulla correlazione tra la risposta anticorpale e la suscettibilità alla re-infezione.

“In particolare, dobbiamo sapere se gli anticorpi sono necessari a prevenire malattie asintomatiche”, spiega Torres, secondo il quale “non possiamo apprezzare il valore della sierologia fino a quando non sarà adeguatamente associata a test sulla presenza del virus e al follow-up a lungo termine in uno studio ben disegnato. Per questo, un campionamento fatto bene, una buona raccolta dati e una forte analisi statistica dovrebbero fornirci le informazioni di cui abbiamo bisogno”.

Fonte: American Journal of Clinical Pathology
Will Boggs

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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