Benchè buona parte della copertura mediatica della recente epidemia di Ebola si sia focalizzata sulla conta delle vittime, qualcosa è passato quasi inosservato: i sopravvissuti, ed i soggetti apparentemente immuni. I soggetti che sopravvivono alla malattia possono condurre successivamente una vita normale, eccezion fatta per occasionali fenomeni infiammatori a carico delle articolazioni. I tempi di recupero variano, come anche quelli necessari ad eliminare il virus dal sistema: il WHO ha comunicato che esso può permanere nello sperma per settimane dopo la guarigione. In genere si presume che i sopravvissuti siano immuni al ceppo dal quale sono stati infetti, ma non è chiaro se l’immunità si estenda anche agli altri ceppi, o se sia duratura. Come accade con la maggior parte delle infezioni virali, i pazienti guariti avranno anticorpi anti-Ebola nel loro sangue, il che lo rende un’opzione controversa ma valida per il trattamento di altri che contraggono l’infezione: si tratta tuttavia di un metodo la cui funzionalità non è affidabile, e che peraltro deve essere riservato anche alle persone il cui gruppo sanguigno è compatibile. I soggetti sopravvissuti sono comunque di grande interesse per la ricerca, ma lo sono ancor di più quelli che dopo aver contratto l’infezione non sviluppano alcun sintomo, come è stato il caso di molte persone venute a contatto con il virus dopo il focolaio intervenuto in Uganda negli anni ’90: gli scienziati sperano che queste persone possano aiutare a contenere la malattia mentre si procede con la ricerca di una cura: una recente ricerca ha riscontrato che più del 15% della popolazione del Gabon potrebbe essere immune all’Ebola. L’identificazione di queste persone potrebbe consentire il loro reclutamento per compiti che aiutino con il controllo della malattia, il che consentirebbe di non esporre al virus soggetti che non siano immuni. (The Lancet online 2014, pubblicato il 14/10)
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