Il disturbo di personalità borderline ha una prevalenza nella popolazione generale stimata tra lo 0.7 e il 2.7%. Nei casi che arrivano all’osservazione clinica, prevale nettamente il sesso femminile. L’esordio avviene nella prima età adulta. Il quadro clinico è caratterizzato da relazioni interpersonali intense e instabili, con alternanza tra gli estremi dell’idealizzazione e della svalutazione; da un’instabilità dell’immagine di sé; da un’accentuata impulsività e instabilità affettiva; da comportamenti suicidari e autolesionistici ricorrenti; da sforzi disperati di evitare un abbandono reale o immaginario; da sentimenti persistenti di vuoto; da difficoltà a controllare la rabbia; e dalla presenza transitoria di ideazione paranoide o di sintomi dissociativi (ad esempio, sensazione di estraneità riguardante la propria persona) nelle situazioni stressanti. Nel 13° Congresso della Società Italiana di Psichiatria Biologica (SIPB), che si tiene a Napoli dal 25 al 28 ottobre, è stato fatto il punto sulla diagnosi e sull’intervento terapeutico in questa condizione assai impegnativa per i servizi di salute mentale.
“Il disturbo di personalità borderline rimane tuttora a volte non diagnosticato e spesso non trattato in modo corretto” – afferma il Prof. Mario Maj, Past-President della Società Mondiale di Psichiatria e Presidente del Congresso. “E’ abbastanza frequente che la condizione venga confusa con il disturbo bipolare. Essa viene spesso trattata farmacologicamente, mentre l’intervento farmacologico è giustificato soltanto in presenza di altri disturbi psichiatrici concomitanti (ad esempio depressione) o nelle fasi acute con agitazione, ansia accentuata o sintomi psicotici transitori. E’ tuttora abbastanza raro che il disturbo venga affrontato con una delle psicoterapie validate dalla ricerca, come la terapia comportamentale dialettica o la terapia basata sulla mentalizzazione. Il comportamento manipolatorio dei pazienti (o più spesso delle pazienti) mette non raramente in crisi i servizi o genera inappropriate reazioni di rifiuto”.
Oltre il 75% dei pazienti con disturbo di personalità borderline tenta il suicidio, e circa il 6% muore suicida. L’impulsività che caratterizza questa condizione è inoltre spesso all’origine di comportamenti dannosi per il paziente, come rapporti sessuali non protetti, guida spericolata, abuso di sostanze, abbuffate, uso irresponsabile del denaro. Le persone con questo disturbo hanno inoltre un rischio maggiore rispetto alla popolazione generale di una serie di malattie fisiche (endocrine, metaboliche, respiratorie, cardiovascolari, infettive). Tutto ciò rende il disturbo di personalità borderline una condizione di grande (e misconosciuta) rilevanza dal punto di vista della salute pubblica. Nell’ambito del Congresso si è parlato anche delle modalità attraverso cui la conoscenza di questo disturbo può essere promossa nell’ambito della medicina generale e specialistica, nonché a livello della popolazione generale.
I fattori di rischio per il disturbo di personalità borderline sono oggetto di un’intensa attività di ricerca. Si ritiene oggi che un ruolo importante abbia l’interazione tra le esperienze di abuso fisico, sessuale o emozionale in età infantile ed una predisposizione genetica (probabilmente non specifica ma condivisa con altri disturbi mentali, in particolare quelli dell’umore e psicotici). Le persone portatrici della vulnerabilità a questo disturbo, o del disturbo conclamato, vanno spesso incontro successivamente ad esperienze di vittimizzazione nelle relazioni sentimentali o di bullismo, la qual cosa genera un circolo vizioso. La prevenzione e la gestione del disturbo di personalità borderline dovrebbero dunque essere affrontate in una prospettiva socio-ecologica, che è stata delineata nel corso del Congresso.
Il disturbo di personalità borderline richiede un approccio psicoterapeutico specialistico. Approcci spontaneistici modellati su quelli abitualmente messi in atto nei pazienti psicotici non solo risultano inefficaci, ma possono essere controproducenti, rinforzando l’atteggiamento manipolatorio dei pazienti. Le due tecniche psicoterapeutiche con la più solida evidenza di efficacia sono la terapia comportamentale dialettica e la terapia basata sulla mentalizzazione, di cui è stato documentato l’impatto significativo sui sintomi del disturbo, sul funzionamento sociale, e sul comportamento suicidario e autolesionistico. Esiste un’evidenza preliminare di efficacia anche per alcune terapie ad orientamento psicodinamico. La disponibilità di queste psicoterapie nei servizi pubblici è purtroppo oggi molto limitata, anche per un’insufficiente consapevolezza dell’importanza del problema, oltre che per le difficoltà nella formazione degli operatori. Delle barriere all’accesso alle cure appropriate per il disturbo di personalità borderline si è parlato ampiamente nell’ambito del Congresso.