Oltre un miliardo di fumatori nel mondo nel 2025. È questa la stima dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nonostante la consapevolezza sui danni da fumo e le sempre più stringenti politiche di prevenzione e controllo. Siamo infatti sulla “buona” strada per arrivare alla stima citata. Sempre secondo l’Oms, le vittime del fumo sono oltre 7 milioni l’anno e queste vanno aggiunti altri 600mila morti per fumo passivo. Solo in Italia, poi, i dati del Ministero della Salute evidenziano come tra i 70.000 e gli 83.000 decessi ogni anno siano causati dal consumo di sigarette (circa un migliaio per fumo passivo). La comunità scientifica internazionale è dunque concorde nel ritenere il fumo quale principale fattore di rischio per l’insorgenza di malattie non trasmissibili.
A fare il è punto sono stati gli esperti riunitisi in occasione del simposio “Fumo e rischio cardiovascolare”, a margine del XL Congresso Nazionale SIAPAV, nel quale è emerso come una parte sempre più preponderante della comunità medico-scientifica sostenga l’adozione di politiche anti-fumo basate eventualmente anche sul principio della riduzione del danno, ad integrazione delle altre principali strategie volte a ridurre il danno correlato al fumo di sigaretta (prevenzione e dissuasione).
Come spiega Guido Arpaia, presidente SIAPAV e Direttore S.C. di Medicina Interna dell’ASST di Vimercate “Nel fumatore il rischio vascolare si manifesta in vari modi: in particolare il danno da fumo vede una lenta ma inesorabile crescita della placca aterosclerotica che sebbene priva di sintomi può determinare un evento acuto a carico di organi vitali come cuore, vasi periferici, cervello e reni”.
È infatti il fumo, insieme al diabete, la maggiore minaccia alla salute delle arterie e allo sviluppo di Arteriopatie Periferiche a causa di un meccanismo di infiammazione cronica: il rischio è 2.15 volte maggiore rispetto agli ex fumatori con ricadute come riduzione della circolazione periferica anche sintomatica (malattia delle vetrine).
“Un dato oltremodo preoccupante – prosegue Arpaia – è che anche in caso di procedure interventistiche solo il 36% pazienti smette di fumare nel periodo successivo. Gli operati per malattie vascolari periferiche che subiscono interventi di by-pass o endovascolari che non smettono di fumare sviluppano più complicanze e hanno maggior rischio di mortalità”.
Dal palco del Congresso un appello anche da parte di Mauro Borzi, Cardiologo, Responsabile UOS di Cardiologia Ambulatoriale Policlinico Tor Vergata di Roma, che nella sua relazione sottolinea come: “Il fumo continua a rappresentare un’epidemia mondiale. Il problema va quindi affrontato in maniera più coraggiosa e ogni possibile soluzione proposta deve essere validata da una rigorosa valutazione medico scientifica, affinché il fenomeno non venga affrontato con superficialità. La stessa Food and Drug Administration, ha emanato delle procedure chiare e meticolose per validare quanto e come le nuove alternative al fumo tradizionale, come e-cig e prodotti a tabacco riscaldato, possano essere efficaci nella riduzione dei danni causati dal fumo. Ad oggi dobbiamo basarci sulle evidenze esistenti, che seppur limitate dall’assenza di studi epidemiologici di lungo periodo, evidenziano una chiara riduzione delle sostanze tossiche e cancerogene tipiche delle sigarette tradizionali, ponendosi dunque come alternative valide nella lotta al tabagismo”.
“I prodotti alternativi alle sigarette tradizionali a combustione determinano la produzione di un aerosol che permette l’inalazione di nicotina che, nonostante non sia una molecola immune, non è la principale causa delle patologie fumo-correlate”, spiega Roberto Pola, della Divisione di Clinica Medica e Malattie Vascolari del Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma. “Nell’Exposure Response Study sono state valutate le differenze su alcuni parametri di rischio clinico su circa 1000 fumatori che hanno deciso di passare al Sistema a Riscaldamento di Tabacco rispetto ai fumatori di sigarette tradizionali, al fine di valutarne in maniera diretta il potenziale di riduzione del danno dopo 6 mesi di osservazione. In particolare, sono stati misurati otto parametri tradizionalmente correlati allo sviluppo di patologie metaboliche, cardiache, oncologiche e polmonari, oltre a indicatori di infiammazione generica e stress ossidativo. I risultati dello studio sono molto incoraggianti, grazie anche al fatto che è stato raggiunto l’obiettivo di significatività statistica che lo studio si era proposto: le variazioni evidenziate hanno mostrato un profilo simile tra il gruppo che aveva utilizzato THS 2.2 e i dati di letteratura sulla cessazione all’abitudine al fumo, ma con valori molto diversi rispetto al gruppo che aveva continuato ad utilizzare sigarette tradizionali”.
Lo studio ERS è stato concepito per dare una risposta alle domande più dibattute sull’impatto del passaggio ad un prodotto a rischio modificato sulla base dell’effettivo utilizzo del prodotto. Si tratta del primo studio clinico di media-lunga durata atto a valutare in maniera diretta il potenziale di riduzione del danno di un prodotto senza fumo nei fumatori che passano al suo utilizzo dopo un lungo periodo di esposizione alle sigarette tradizionali. In particolare sono stati misurati otto parametri tradizionalmente correlati al rischio di patologia (Clinical Risk Endpoints, CRE) prima dell’inizio dello studio, durante e al termine dei 6 mesi di osservazione, coinvolti nello sviluppo di patologie metaboliche, cardiache, oncologiche e polmonari, oltre a indicatori di infiammazione generica e stress ossidativo. Nel gruppo passato al dispositivo senza combustione, sono stati raggiunti tutti e otto obiettivi primari di rischio clinico.