(Reuters Health) – Gli uomini che durante la propria vita hanno assunto regolarmente aspirina presentano un minor rischio di cancro alla prostata letale rispetto a chi non ne ha mai fatto un utilizzo costante. Questo ciò che descrivono i risultati del Physicians’ Health Study (PHS), pubblicato su European Urology.
Lo studio
Il team di Mary K. Downer, della Harvard T. H. Chan School of Public Health di Boston, si è servito dei dati di oltre 22.000 partecipanti al PHS per indagare la possibile associazione tra uso regolare di aspirina (più di tre giorni a settimana per almeno un anno) e cancro alla prostata letale. Rispetto a chi non l’aveva mai assunta, coloro che ne avevano fatto uso in passato avevano il 46% in meno del rischio di sviluppare cancro alla prostata letale, mentre l’uso attuale era legato al 32% in meno di rischio di morire per questa malattia. Inoltre, gli uomini che continuavano ad assumere aspirina dopo la diagnosi di malattia non metastatica presentavano il 32% in meno del rischio di letalità e il 28% in meno di quello di mortalità in generale rispetto a coloro che non l’avevano mai usata, mentre il passato uso post-diagnostico risultava associato a rischi non significativamente più elevati di letalità e mortalità generale. Le associazioni tra aspirina e minore letalità e tra attuale assunzione di aspirina post-diagnosi e migliore sopravvivenza non hanno riguardato i casi diagnosticati nel periodo del PSA.
I commenti
“Sembra esistere una forte associazione tra uso regolare di aspirina e rischio ridotto di cancro alla prostata letale nelle fasi più avanzate di progressione del tumore, secondo quanto evidenziato dai risultati delle nostre analisi stratificate su PSA e stadio alla diagnosi – afferma Mary K. Downer della Harvard T. H. Chan School of Public Health di Boston – Se tale associazione si rivelasse causale – cosa che ancora non sappiamo – ciò potrebbe avere importanti ripercussioni per la gestione di fasi più avanzate della malattia – ha spiegato – Ciò suggerisce che l’aspirina può prevenire le metastasi in altri organi piuttosto che l’inizio del tumore, che probabilmente è più importante dal punto di vista clinico”.
European Urology 2017.
Will Boggs MD
(Versione Italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)