Le infezioni da CRAB nel paziente critico: il ruolo di cefiderocol

L’Acinetobacter baumannii resistente ai carbapenemi (CRAB) è classificato dall’Oms come un patogeno a priorità critica a causa del limitato numero di opzioni terapeutiche oggi disponibili. Attualmente questo batterio provoca infezioni associate a una elevata mortalità ospedaliera, in particolare quando queste infezioni si verificano in un setting di terapia intensiva, dove vengono abitualmente ricoverati pazienti ad elevata criticità.

Nel nuovo appuntamento di Impact Factor, il format di Sics e Popular Science dedicato agli approfondimenti medico-scientifici e rivolto ad un pubblico di specialisti, si parla di infezioni da CRAB nel paziente critico, di valore terapeutico e di strategie dalla pratica clinica. Con gli esperti, il professor Matteo Bassetti dell’Università di Genova e il professor Massimo Antonelli del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma, presentiamo una panoramica aggiornata delle sfide cliniche e delle soluzioni emergenti, con un focus particolare su cefiderocol che, come dimostrano le evidenze cliniche, offre un vantaggio terapeutico in termini di sopravvivenza. L’incontro è stato realizzato con il contributo non condizionante di Shionogi.

Unmet needs

“Acinetobacter baumannii è un batterio Gram negativo non fermentate che, per sue caratteristiche, è particolarmente resistente agli antibiotici e che è diventato resistente ai carbapenemi, la classe di farmaci con cui finora abbiamo trattato questa infezione”, spiega Bassetti. L’infezione da CRAB è quindi più impegnativa, in termini di morbilità e di mortalità, delle infezioni da patogeni sensibili ai farmaci. “Le infezioni da CRAB non colpiscono solo i pazienti in terapia intensiva – continua l’esperto -, ma in generale il paziente critico, fragile, immunodepresso, e hanno un’elevatissima mortalità, anche superiore al 40-50%”.  Il batterio provoca infezioni polmonari o cutanee e l’infezione può sfociare in batteriemie.

Il primo unmet need dei pazienti affetti è la carenza di armi terapeutiche per contrastare l’infezione, come sottolinea il professore. “Negli ultimi 25 anni abbiamo utilizzato la colistina come farmaco di riferimento. Questo antibiotico però ha dei limiti”. Secondo l’esperto bisogna da un lato trovare nuovi farmaci efficaci, dall’altro evitare di trattare i casi che non necessitano di terapia: alcuni soggetti non presentano infezioni da Acinetobacter, ma solo colonizzazioni e non hanno bisogno di trattamento antibiotico, che non fa altro che aumentare l’antibiotico resistenza.

Le linee guida, sia americane sia europee, vista la scarsità di studi prospettici e randomizzati condotti sui pazienti affetti da questo tipo di infezione, indicano di usare i farmaci che sono risultati essere le migliori opzioni terapeutiche sulla base dei test in vitro. “Abbiamo a disposizione la colistina, il cefiderocol e il sulbactam (che però va usato a dosi elevate)”, sintetizza Bassetti. “In questa limitatezza di opzioni il cefiderocol, una cefalosporina siderofora, ha un amplissimo spettro d’azione che include Acinetobacter baumannii, su cui ha un’attività molto buona: circa il 98% dei ceppi isolati nei pazienti sono sensibili a cefiderocol”.

Efficacia di cefiderocol negli studi

Nell’Unità Operativa del prof. Antonelli si è svolto uno studio real-life che ha confrontato la terapia con cefiderocol con la terapia con altri antibiotici attivi su Acinetobacter, come la colistina. “Abbiamo arruolato 121 pazienti e abbiamo dimostrato che la differenza di mortalità era significativa, con circa un 15% di mortalità in meno per i pazienti che assumevano cefiderocol (ndr) rispetto al gruppo di controllo”.

Sapere quali antibiotici permettono di aggirare la resistenza dei batteri è ancora più importante attualmente poiché, come spiega Antonelli: “disponiamo di test genetici rapidi per identificare la presenza del patogeno e di geni di resistenza. In questo modo possiamo somministrare una terapia causale sin dall’inizio”.

Verso la monoterapia

Proprio nell’ottica di una terapia mirata, Bassetti sottolinea che, se sappiamo con quale microrganismo abbiamo a che fare, il cefiderocol può e dovrebbe essere usato in monoterapia. “La terapia di combinazione può funzionare se non abbiamo idea di quale patogeno stiamo trattando, altrimenti il cefiderocol in monoterapia funziona bene e permette di evitare tossicità. D’altra parte, uno dei grandi vantaggi di questo farmaco è una buona tolleranza a livello renale”. Proprio per l’efficacia nel ridurre la mortalità e per la tolleranza, secondo Bassetti “cefiderocol può diventare, ed è già, il farmaco di riferimento nel trattamento delle infezioni da CRAB”.

Come sottolineato dallo stesso Antonelli, forse per un certo “condizionamento psicologico” dovuto al fatto che i pazienti trattati in terapia intensiva sono malati ad altissimo rischio di vita, gli intensivisti hanno sempre teso a utilizzare cefiderocol in combinazione, ma per poter parlare correttamente di monoterapia o utilizzo in combinazione è necessario fare una breve disamina.

“La colistina, nel caso di una polmonite, ha una penetrazione all’interno degli alveoli molto limitata. Per potenziare la sua azione, alla somministrazione venosa si è associata la somministrazione per via aereosolica. Tuttavia, la colistina è un farmaco che esercita degli effetti renali svantaggiosi e contribuisce, in malati che già presentano questo rischio, allo sviluppo di un’insufficienza renale in un secondo momento”, ha sottolineato Antonelli.

È necessario, quindi, “ridisegnare mentalmente il nostro approccio, cercando di valutare i vantaggi e gli svantaggi dei farmaci, le vie di somministrazione, l’entità dell’assorbimento e la capacità effettiva di fronteggiare un germe così pericoloso”. La direzione verso cui si sta andando, secondo Antonelli, anche grazie all’uso dei test rapidi, è quella della monoterapia.

Alla luce di quanto detto, dunque, rimane evidente che l’utilizzo degli antibiotici, tutti, deve essere fatto con intelligenza e che sia importante valutare caso per caso se usare la terapia di combinazione o la monoterapia . Questo si traduce in “parsimonia e prudenza”, come indicato da Antonelli, ma senza paura, e in “appropriatezza”, come specificato altresì da Bassetti. Il futuro non è roseo e quindi ben vengano opzioni terapeutiche che, se utilizzate bene e quando servono, possono essere efficaci e contribuire alla lotta all’antibiotico resistenza.

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