La comparsa di picchi elevati di testosterone durante le competizioni, il cosiddetto “effetto vincitore”, non è affatto correlata alla vittoria, come dimostrato da un recente studio su atleti podisti. Lo studio in questione ha riscontrato che, a prescindere dai tempi fatti riscontrare dagli atleti, il picco di testosterone si verifica ugualmente: uno degli atleti osservati con il maggior picco di testosterone, infatti, ha fatto riscontrare uno degli effetti peggiori. Il testosterone sembra aumentare anche durante le fasi di riscaldamento, e quindi prima ancora che la gara inizi, molto prima che venga determinato lo status di vincitore o perdente. Molti degli studi precedenti in materia hanno implicato sport di squadra come il calcio o la pallavolo, che richiedono coordinazione interpersonale, esercizio fisico intermittente ed esiti di vittoria o sconfitta solamente di squadra. La corsa campestre invece, in questo ambito, ha caratteristiche uniche: è associata all’incentivazione a competere e perseverare controlo il dolore in un periodo di tempo relativamente lungo, ed è quindi un’esperienza piuttosto intensa. Uno studio precedente condotto su sole donne aveva riscontrato che, per bassi livelli di cortisolo, il livello di testosterone è direttamente proporzionale allo status dell’atleta con i propri compagni di squadra. L’organismo usa il cortisolo per funzioni vitali come il metabolismo del glucosio: su brevi periodi, un incremento nel cortisolo può essere una cosa buona, ma su lunghi periodi di stress cronico rappresenta un problema. Elevati livelli di base di testosterone sono stati associati a forza e potenza a lungo termine, come nelle posizioni più elevate all’interno di un’azienda: benchè picchi di testosterone durante le gare sportive siano stati associati alla vittoria, essi potrebbero invece essere indicatori di un punto di forza psicologico per la competizione, ossia la spinta verso la vittoria. (Int J Exerc Sci 2014; 7: article 8)
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