Non solo burocrazia, frammentazione e scarsa competitività: ad affossare la ricerca italiana è anche l’incapacità di parlare il ‘linguaggio’ del business per attirare gli investitori internazionali. Per questo serve un centro nazionale di trasferimento tecnologico per le scienze della vita, che possa dare un supporto ai centri di ricerca sul territorio aiutandoli a elaborare i loro business plan. A lanciare la proposta è il presidente di Assobiotec, Riccardo Palmisano, in occasione della presentazione del Rapporto 2016 ”Le imprese di biotecnologie in Italia – Facts & Figures”, realizzato in collaborazione con l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea).
”L’Italia ha un’eccellenza scientifica indiscussa, ma resta fanalino di coda in Europa per quanto riguarda la capacità di attrarre investimenti”, afferma Palmisano. ”Questo perché le università italiane e gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) hanno dei centri di trasferimento tecnologico sottodimensionati e culturalmente non adeguati”. Per crescere ”non basta la buona ricerca: serve una pianificazione del business. Gli investitori – aggiunge il presidente di Assobiotec – vanno la’ dove c’è un’organizzazione che parla il loro linguaggio e che sa dare le dimensioni del potenziale di mercato, una valutazione del rischio di investimento, un’analisi della competitività”.
Per superare questa impasse, ”serve un centro nazionale per il trasferimento tecnologico composto da esperti del settore, che possa offrire consulenza alle realtà sparse sul territorio su specifici progetti, fornendo linee guida, best practice, aiuto nel percorso brevettuale e nella creazione d’impresa”. Il centro, secondo Palmisano, dovrebbe essere gestito dai ministeri interessati, ovvero il ministero per la ricerca, quello dello sviluppo economico, quello della salute e quello dell’agricoltura. ”L’importante è che tutto sia coordinato e integrato – conclude Palmisano – in modo da non generare ulteriore frammentazione”.