Per smaltire le proteine che non servono più, le cellule del nostro organismo hanno un meccanismo apposta che, quando si inceppa può portare allo sviluppo dell’amiloidosi un deposito extracellulare di materiale proteico. I ricercatori dell’Ospedale San Raffaele di Milano hanno però scoperto un punto debole di queste cellule ‘difettose’ e hanno tracciato la via per sviluppare in futuro terapie più efficaci.
La ricerca
Lo studio, coordinato da Simone Cenci, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Blood ed è stato reso possibile anche grazie a un finanziamento dell’Associazione italiana ricerca cancro (Airc). La ricerca, dicono gli scienziati, “spiega il successo di alcuni farmaci oggi utilizzati contro l’amiloidosi, che esasperano proprio il processo di smaltimento delle proteine. Inoltre, potrebbe contribuire allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche, dato che ha permesso di mettere a punto il primo modello sperimentale della malattia”.
In presenza di malattie che alterano l’attività cellulare, aggiungono gli esperti, come il mieloma multiplo o l’amiloidosi, “un equilibrio si rompe e il sistema di smaltimento dei rifiuti si trova sotto stress. Ma tramite farmaci specifici si può intralciare ulteriormente l’attività di questi due meccanismi di pulizia interna e portare le cellule malate al collasso”. Seguendo quest’idea, i ricercatori del San Raffaele insieme con i colleghi del Policlinico San Matteo di Pavia hanno scoperto che il meccanismo di riciclo sottoposto a maggiore stress è l’autofagia, ovvero il ‘trita-rifiuti’ molecolare contenuto nelle cellule.
“Considerata la rarità della malattia – conclude Cenci – questo modello sperimentale, ora a disposizione di tutti i laboratori del mondo, renderà lo studio dell’amiloidosi più accessibile e diffuso, ci permetterà di identificare nuovi punti deboli delle cellule responsabili della malattia e di testare nuovi farmaci”.