(Reuters Health) – L’analisi del liquido cerebrospinale ottenuto mediante puntura lombare potrebbe rivelarsi una metodica appropriata per confermare o escludere la malattia di Alzheimer in pazienti selezionati. È quanto suggerisce un gruppo di lavoro della Alzheimer’s Association, coordinato da James Hendrix, che ha pubblicato su Alzheimer’s and Dementia una revisione sistematica delle evidenze e delle indicazioni cliniche dell’analisi del liquido cerebrospinale per “gruppi di pazienti chiave”.
La classificazione
Gli esperti hanno evidenziato sei indicazioni “appropriate” per l’uso della puntura lombare e otto “non appropriate”. Tra le indicazioni appropriate c’è quella di valutare persone con declino cognitivo soggettivo e considerate ad aumentato rischio di Alzheime, sulla base di indicatori quali persistente declino della memoria, insorgenza dei sintomi dopo i 60 anni ed esordio negli ultimi cinque anni. Inoltre, è appropriato effettuare l’analisi del liquido cerebrospinale nelle persone con decadimento cognitivo lieve, persistente, progressivo e inspiegabile, in quelle che hanno sintomi che suggeriscono un’eventuale malattia di Alzheimer, che hanno una lieve alterazione cognitiva o demenza che si è manifestata prima dei 65 anni, tra coloro che soddisfano i criteri clinici per un probabile Alzheimer con la tipica età di esordio e in quelli che hanno come sintomo dominante un inspiegabile cambiamento di comportamento.
Per quanto riguarda le situazioni in cui l’uso della puntura lombare non è appropriato, invece, gli esperti hanno citato casi in cui un paziente non ha problemi cognitivi, ha un declino cognitivo soggettivo ma non è ad alto rischio di Alzheimer, o ha sintomi che suggeriscono Parkinson o demenza di Lewy. Per quel che riguarda, invece, specifici biomarker, il panel si è focalizzato sull’amiloide b42 e su t-tau e p-tau181, a livello di liquido cerebrospinale.
I commenti
“A nostro avviso, l’analisi del liquido cerebrospinale dovrebbe essere sempre contemplata nella diagnosi di Alzheimer e di altre demenze, anche se il test non è attualmente ampiamente disponibile”, dice Hendrix. “Ci auguriamo che la pratica diventi standard nei prossimi anni.Questo tipo di test potrebbe aiutare nella diagnosi precoce per far entrare prima i pazienti, per esempio, in studi clinici su farmaci che vorrebbero ridurre la progressione della malattia alle prima fasi. Inoltre, con una diagnosi più precisa, si eviterebbe di somministrare farmaci inutili”.
Fonte: Alzheimer’s and Dementia
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)