(Reuters Health) -Anche le piante sarebbero stressate dal cambiamento climatico. E per adattarsi, molte colture alimentari produrrebbero sostanze tossiche che potrebbero provocare problemi alla salute di uomini e animali che le mangiano. È l’ultimo allarme diffuso da scienziati dell’United Nations Environment Program (UNEP), che hanno presentato un rapporto durante il meeting United Nations Environment Assembly, che si è svolto a Nairobi a fine maggio.
“I raccolti devono far fronte alla siccità e all’aumento delle temperature proprio come gli uomini fanno in una situazione di stress”, ha spiegato Jacqueline McGlade, direttore della Division of Early Warning and Assessment dell’UNEP. In condizioni normali, per esempio, le piante convertono i nitrati che assorbono in aminoacidi e proteine. Ma secondo il rapporto, la siccità prolungata rallenterebbe o interromperebbe questo processo, portando a un accumulo problematico di nitrati nelle piante. E se le persone assumono troppi nitrati, questi possono interferire con l’abilità dei globuli rossi di trasportare l’ossigeno. Tra le colture più suscettibili all’accumulo di nitrati ci sarebbero mais, grano, orzo, soia, miglio e sorgo.
Pioggia e siccità. A rischio lino, manioca e mais
Altre colture, invece, soffrono delle abbondanti piogge che seguono la siccità, una estremizzazione del clima responsabile dell’accumulo di acido cianidrico. Questo composto interferisce con il flusso di ossigeno dell’organismo e anche l’esposizione a breve termine può essere debilitante per le persone, ha dichiarato McGlade. Piante come la manioca, il lino, il mais e il sorgo sono più suscettibili all’accumulo di acido cianidrico.
Dei casi di contaminazione da nitrati o da acido cianidrico nell’uomo sono stati registrati nel 2013 in Kenya – dove secondo fonti locali due bambini sarebbero morti in seguito al consumo di manioca contaminata con acido cianidrico per le forti piogge – e nelle Filippine, nel 2005.
Allarme muffe
Anche le aflatossine, muffe che infestano le colture vegetali e aumentano il rischio di danni al fegato, tumori, cecità e arresto della crescita di feti e neonati, si starebbero diffondendo come conseguenza dell’estremizzazione del clima. Secondo McGlade circa 4,5 miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo sarebbero esposte alle aflatossine ogni anno, anche se le quantità non sono monitorate e i numeri sarebbero in aumento. “Stiamo solo cominciando a capire i problemi legati alla diffusione di queste sostanze tossiche con i quali si confrontano i contadini delle regioni tropicali e subtropicali”, sottolinea il rapporto.
Secondo l’International Livestock Research Institute, nel 2004 il Kenya ha sofferto una grave epidemia di avvelenamento da aflatossine che ha colpito più di 300 perone, uccidendone più di 100, in seguito a prolungata siccità. E anche l’Europa, secondo il report dell’UNEP, potrebbe essere minacciata dal rischio della diffusione di aflatossine se l’aumento delle temperature superasse i due gradi centigradi.
Limitare i danni
Il rapporto propone otto consigli per gli agricoltori per limitare la diffusione delle sostanze tossiche,come una mappatura delle zone contaminate. Inoltre, secondo gli scienziati lo sviluppo di colture in grado di far fronte ai cambiamenti climatici potrebbe aiutare a ridurre le concentrazioni di queste sostanze tossiche negli alimenti. “Diversi centri di ricerca, insieme al Consultative Group on International Agricultural Research, stanno sviluppando dei semi adatti a varie regioni interessate dal cambiamento climatico”, ha dichiarato McGlade.
Fonte: UNEP 2016
Kagondu Njagi
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)