Condizionata anche dagli effetti positivi della corsa al vaccino rallentano le somministrazioni settimanali di anticorpi monoclonali in Italia, mantenendosi intorno all’1% delle nuove diagnosi ma con grande diversita’ tra regioni. Mentre continua l’attento monitoraggio dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) anche sulle segnalazioni di sospetti eventi avversi al vaccino anti Covid: dall’inizio della campagna vaccinale sono state 56.110 su un totale di poco più di 18 milioni di dosi, ovvero 309 ogni 100.000 e 34 sono stati i casi di trombosi.
Il 91% delle segnalazioni sono riferite a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, stanchezza e dolori muscolari, scrive l’Aifa nel Quarto Rapporto sulla Vaccinovigilanza. Mentre le segnalazioni di reazioni gravi, corrispondono all’8,6% del totale, con un tasso di 27 eventi ogni 100.000 dosi somministrate, indipendentemente dal tipo di vaccino e dal possibile ruolo causale della vaccinazione.
Per quanto riguarda AstraZeneca, ci sono state in Italia 29 segnalazioni di trombosi venose intracraniche e 5 casi di trombosi venose in sede atipica e il 65% hanno interessato le donne con un’età media di circa 48 anni. “L’analisi di rischi benefici – commenta Massimo Andreoni, direttore UOC Malattie Infettive dell’Università di Roma Tor Vergata – resta assolutamente favorevole ai vaccini, inoltre dai dati non emerge che ci sia un vaccino più pericoloso di altri.
Tanto che rispetto alle dosi il numero di eventi avversi segnalati con Pfizer è maggiore rispetto a Astrazeneca, e il numero di quelli molto gravi è solo minimamente più alto per il secondo”. Ad esser attentamente monitorati da Aifa sono anche gli anticorpi monoclonali, farmaci specifici contro il Covid-19, disponibili anche in Italia a partire dal 10 marzo scorso per persone particolarmente fragili.
Nell’arco di circa due mesi, invece, secondo i dati del quinto Report Aifa, sono stati somministrati a 4.468 pazienti inseriti nei registri. Solo nella settimana dal 30 aprile al 6 maggio, sono state 759 le prescrizioni effettuate (a fronte delle 869 della settimana 23-29 aprile e alle 945 di quelle della settimana 21-23 aprile) e rappresentano l’1% delle 73.000 nuove diagnosi di Covid registrate nella settimana di riferimento. In proporzione rispetto alle nuove diagnosi, la regione con la prevalenza di utilizzo più alta è la Valle d’Aosta seguita da Marche e Liguria.
“Questo rallentamento della crescita – precisa Andreoni – va di pari passo al calo dei contagi e dei casi gravi di malattia nei più fragili, che si sono ridotti soprattutto grazie ai vaccini, quindi si riduce il numero potenziale di chi ne ha bisogno. Ma rimane un problema rispetto all’arruolamento dei pazienti, è troppo complicato. I criteri per la somministrazione sono troppo restrittivi: ad esempio, devono esser presenti delle comorbosità mentre noi riteniamo possa bastare il criterio di rischio dell’età , ovvero avere più di 65 anni. Inoltre, non possono essere somministrati oltre 10 giorni dall’inizio dei sintomi, ma sono tempi difficili da rispettare visto che passano giorni tra il test antigenico positivo e il risultato del tampone molecolare. Inoltre, in questo lasso di tempo il paziente può aggravarsi, ma, per poter ricevere questi farmaci non deve aver bisogno di ossigeno o necessitare ospedalizzazione.
Questi aspetti andrebbero semplificati a fronte del fatto che ne stiamo notando l’estrema efficacia”. L’Universita’ di Tor Vergata partecipa infatti allo studio multicentrico sui monoclonali promosso da Aifa. “Finora – conclude l’esperto – abbiamo trattato 70 pazienti a alto rischio, come obesi, diabetici scompensati o con insufficienza cardiaca e di questi solo 6 sono stati ospedalizzati e nessuno con forme gravi”.