Un ricercatore italiano si è infettato con una versione del virus Hiv artificiale in un laboratorio europeo. La vicenda è stata oggetto di una conferenza stampa alla Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections di Boston, e farà cambiare le misure di sicurezza per questo tipo di ricerca in tutto il mondo. L’infezione, racconta Carlo Federico Perno che dirige laboratorio di Virologia dell’Università di Roma Tor Vergata, risale a oltre tre anni fa. Il ricercatore lavorava in un centro di altissimo profilo europeo che non è stato rivelato, in un laboratorio con grado di sicurezza 2 su una scala di 4, che in teoria doveva trattare solo pezzi del virus non infettanti.”Quando questa persona è andata a donare il sangue, si è scoperta sieropositiva – racconta Perno -. È andata dal professor Gori del reparto Malattie infettive dell’ospedale San Gerardo di Monza, ma non è uscito fuori nulla che giustificasse l’infezione, eccetto il fatto che avesse lavorato in un laboratorio dedicato all’Hiv”. A questo punto il laboratorio di Tor Vergata ha sequenziatoil virus, racconta Perno. “È identico a un ceppo che è presente in quel laboratorio, ma a cui in teoria la persona non aveva accesso. Quando si lavora con grandi quantità di materiale, si usa una proteina di un virus che ha una grande capacità infettante, che viene svuotata e riempita con il materiale da replicare. Per qualche errore, nella proteina non c’erano i pezzi di virus, ma quello intero, e la trasmissione probabilmente è avvenuta per via aerea. Ora la persona è sotto terapia antiretrovirale,e risponde benissimo”. La vicenda ha suscitato molto interesse alla conferenza. “Qui da noi questo rischio non c’è, perché i fondi per la ricerca sono zero – sottolinea Perno -. Ma negli Usa si investono 4 miliardi di dollari l’anno per queste ricerche, e sono preoccupati per le misure di sicurezza. È la prima volta al mondo che un ricercatore si infetta con un virus creato in laboratorio”.
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